È diffamatorio dare della “psicopatica” a una sconosciuta su Facebook? Ruota attorno a questo quesito il processo a carico di un 50enne benese, G.C., denunciato da una donna di Sanremo nel 2016.
La lite tra i due era scaturita da un commento dell’uomo e dalla segnalazione di lei a Facebook, che aveva cancellato l’immagine e inviato un’“ammonizione” all’autore. “Quando mi sono visto recapitare la notifica della violazione da parte di Facebook ero fuori di me, ho pensato che il suo intervento fosse inopportuno perché si trattava solo di una foto umoristica” ha spiegato l’imputato, il quale gode di una certa notorietà sul web come creatore di contenuti satirici.
L’immagine in questione - un chiaro fotomontaggio - ritraeva un cappuccino con l’effige di una donna intenta a praticare una fellatio. G.C. l’aveva postata in risposta a uno scambio tra la 36enne ligure e un’altra donna, amica di G.C. su Facebook e dell’autrice della denuncia nella vita reale: “Lei mi aveva invitata a cena, prima di partire da casa ho scritto sulla sua bacheca personale ‘ho fame’ e mi ha risposto pubblicando una foto del sugo che stava cuocendo. Sotto quel post è poi apparso il commento” ha spiegato la testimone. A seguito della tirata d’orecchie ricevuta dai gestori del social network, il benese aveva pubblicato uno screenshot della conversazione e commentato: “Non capisco come certe persone possano essere così psicopatiche da scandalizzarsi per la foto di un p…”.
È soprattutto questa considerazione ad essere costata all’uomo il processo, al quale si è arrivati dopo una richiesta di archiviazione della Procura e una successiva imputazione coatta decisa dal gip. Al termine di un’istruttoria molto complessa - in relazione all’entità del fatto - il pubblico ministero Davide Fontana ha chiesto per l’imputato una condanna a 300 euro di multa: “Quanto all’immagine della tazzina, il contesto in cui è stata inserita è di sicuro provocatorio ma non diffamatorio. Nelle frasi successive, invece, è andato in effetti oltre a quanto tollerato dalla legge: sono frasi oggettivamente lesive della reputazione della persona offesa”. L’argomento della reazione d’impulso, secondo il procuratore, non trova fondamento: “Ammesso e non concesso che fosse un’ingiustizia bloccare una pubblicazione del genere, non è l’autrice della segnalazione la responsabile, ma il social network. Facebook è una vetrina dove ognuno espone ciò che vuole, ma se sulla vetrina espongo un’immagine pornografica posso incorrere nella censura”.
Per l’avvocato di parte civile Chiara Santinelli “al di là dell’immagine, comunque lesiva del suo decoro, ad essere stata percepita come offesa sono state le parole successive”. Indicativo del dolo sarebbe il fatto che G.C. abbia taggato - cioè citato con una notifica diretta - la comune amica nel post in cui si era sfogato: “Se tra loro c’era un rapporto goliardico, come lui sostiene, avrebbe potuto inviarle in privato quella foto”. Per questo la parte civile ha quantificato il danno subito in 5mila euro.
“Vero che a Internet vadano applicate le regole del mondo civile, ma a chi scrive su Internet dobbiamo comunque riconoscere le stesse garanzie che offriremmo a chi parla in un bar” argomenta l’avvocato difensore Marco Cuniberti, convinto che “se questa situazione si fosse verificata in un bar, non sarebbe successo nulla”. Agli occhi dell’imputato, sostiene il legale, “la segnalazione da parte di una sconosciuta era un atto di prepotenza”. Ancorché ineducata, la sua reazione non sarebbe comunque diffamatoria: “‘Psicopatico’ non è una parolaccia, per quanto possa essere un termine eccessivo. L’unico termine offensivo è ‘stupida’, ma G.C. lo riprende dal commento di un altro utente che così aveva definito il comportamento della donna. Il post, in ogni caso, era già stato rimosso su richiesta di lei”.
Il 22 giugno arriverà la decisione del giudice.