Il mondo degli acquisti online è sempre più spesso protagonista nelle aule dei tribunali. Di solito, però, si discute di “bidoni” rifilati sulla vendita di un cellulare o di una console per videogiochi.
In questo caso invece l’oggetto del contendere era un’automobile, acquistata da una signora residente nel Mantovano presso un autosalone di Fossano. La signora era venuta nella città degli Acaja insieme al marito, per concludere l’acquisto della Peugeot 307 immatricolata nel 2012, con 40mila km alle spalle, pagata 6mila euro. Un addetto della concessionaria aveva accompagnato i coniugi nella prova su strada, sebbene gli acquirenti non avessero voluto nemmeno testare il mezzo di persona.
Dopo alcuni giorni, i compratori avevano denunciato una serie di magagne di non poco conto e preteso la sostituzione immediata di una serie di pezzi, per una spesa complessiva di 3700 euro. La successiva controversia ha portato a processo il 49enne P.B., titolare dell’autosalone, con l’accusa di frode in commercio. “Dapprincipio il signore aveva parlato di un malfunzionamento della batteria, che avevamo invitato a cambiare offrendo un rimborso. Poi però ha lamentato la problematica dei freni” ha spiegato l’imputato. Di fronte al giudice, il venditore ha difeso la propria scelta di non rimborsare più nulla: “Hanno comprato per poco più di 6mila euro una macchina che da nuova ne costa 25mila. Hanno voluto rifarsela cercando di farsi poi rimborsare: perciò hanno cambiato dischi, pastiglie, frizione senza necessità”.
All’esito dell’istruttoria anche il rappresentante dell’accusa ha ritenuto insussistenti gli indizi di colpevolezza. Il pubblico ministero Alessandro Borgotallo ha affermato che gli acquirenti avevano commesso “una leggerezza imperdonabile” evitando di provare l’automobile. Improbabile, inoltre, che avessero compiuto un viaggio in autostrada fino a Mantova “in presenza di un guasto del genere”: “Non sappiamo se il problema è preesistente, se è successivo, nemmeno se il problema ci fosse”.
Di tutt’altro avviso l’avvocato di parte civile, Sonia Gaioni, per la quale “nulla di quanto dichiarato dall’imputato in sede di esame corrisponde al vero. La fattura dell’autofficina convenzionata riporta solo un rabbocco dell’olio e il filtro dell’olio, nessun altro controllo è stato effettuato. Alla signora è stata venduta un’auto priva dei requisiti fondamentali di sicurezza”. L’avvocato Aldo Bimbato, per la difesa, ha invece rilevato come il concessionario avesse agito in modo corretto, offrendo una riparazione a sue spese e il rimborso del carro attrezzi: “Non è però stato messo in condizione di farlo, perché il mezzo era già in riparazione. La denuncia è arrivata solo perché era ormai impossibile avviare un’azione civile”.
Il giudice Giovanni Mocci ha accolto le comuni richieste di accusa e difesa e assolto con formula piena l’imputato.