Nessuna malversazione da parte dell’imprenditore accusato di aver prelevato e “deviato” circa 20mila assegnati alla sua azienda, la Immobiliare Alpi, come fondo di sostegno nel periodo del Covid. I giudici hanno assolto il fossanese F.B., per il quale la Procura aveva chiesto invece la condanna.
In fase di indagini la Guardia di Finanza aveva ritenuto troppo generiche le giustificazioni offerte a proposito dei prelievi in contanti, tre in tutto, effettuati nell’arco di tre settimane tra maggio e giugno del 2020. Il fondo Covid, ha ricordato il maresciallo capo Fabio Perfetto, “non era un’erogazione a fondo perduto, ma un prestito”, erogato dallo Stato attraverso il Mediocredito Centrale, l’ex Cassa del Mezzogiorno. “La società doveva 20mila euro a una ditta, che però non ha accettato il pagamento in contanti. Non mi sono messo un euro in tasca” ha spiegato, in tribunale, l’accusato. Prova ne sia, ha aggiunto, il fatto che le rate di quel pagamento sono poi state tutte saldate in banca.
Lo ha confermato il creditore, titolare di una ditta di falegnameria che per conto della Immobiliare Alpi aveva installato serramenti su uno stabile del centro di Fossano, nel 2014. Il testimone ha ricordato che l’immobiliarista si era presentato da lui con 14mila euro in contanti, proponendogli un pagamento in nero: “Voleva chiudere la pratica, chiedendo uno sconto. Io ho rifiutato perché accettare una proposta del genere sarebbe stato pericoloso, non avrei saputo giustificarlo in contabilità. Dopo un tira e molla ha detto che avrei accettato i 14mila, ma fatturati”.
Il sostituto procuratore Alberto Braghin, all’esito dell’istruttoria, aveva comunque chiesto un verdetto di colpevolezza, proponendo una pena di sei mesi. La tesi della Procura è che l’immobiliarista non avesse rispettato il vincolo di destinazione del fondo: “Nelle intenzioni del legislatore - ha ricordato il pm - doveva servire a sostenere le imprese in un periodo di difficoltà”. Non a saldare pendenze precedenti, come aveva fatto invece la Alpi srl. Oltre ai 14mila euro, ha aggiunto il rappresentante dell’accusa, c’erano poi gli altri 6mila ritirati dalla banca: “Non sarebbero comunque stati destinati a finalità d’impresa, ciò basta a ritenere sussistente il reato”.
Opposta l’interpretazione della faccenda offerta dall’avvocato Paolo Pacciani, difensore dell’imputato: “I 20mila euro sono ritornati tutti sui conti correnti, in più tranches, allo scopo di evitare la segnalazione per operazioni sospette. Quelle somme comunque erano state prelevate per far fronte a esigenze sociali e non a spese personali”. A dimostrare il contrario, ha argomentato il legale, non basta il fatto che fossero state prelevate in contanti dall’amministratore: “Il reato non si consuma finché non vengono destinate a finalità non sociali”. La prospettazione difensiva ha convinto i giudici, che hanno assolto l’imprenditore perché il fatto non sussiste.