È costata una condanna a sei mesi per il reato di diffamazione aggravata la ‘bravata’ social di S.M., un giovane nativo di Carmagnola ma residente da tempo a Fossano, denunciato da una ragazza di Cusano Milanino (Mi) in seguito alla pubblicazione di alcune foto in una chat privata nel luglio 2015.
Le immagini erano fotomontaggi dove il viso della donna era stato incollato sul corpo di una pornoattrice impegnata in scene di sesso. L’account di S.M. le aveva inviate in una chat collettiva di Messenger, il sistema di messaggistica istantanea collegato a Facebook, nella quale intervenivano più persone tra cui la ragazza oggetto di queste sgradevoli attenzioni.
Dai riscontri acquisiti tramite Facebook, la Polizia Postale aveva accertato che il materiale pornografico era stato inviato da un profilo la cui connessione rimandava al numero telefonico della madre di S.M. e a un albergo di Verona, dove l’imputato aveva in effetti soggiornato per un periodo assieme ai genitori.
A giudizio della difesa, tuttavia, gli accertamenti sarebbero stati viziati dal periodo di tempo troppo lungo intercorso tra la querela, risalente al 2 ottobre 2015, e la richiesta della Postale formulata a fine aprile 2016. Poiché Facebook aveva fornito solo gli accessi dei tre mesi precedenti, non ci sarebbe stata prova certa che a inviare quelle immagini fosse stato davvero S.M. e non qualcun altro utilizzando il suo account.
“Chiunque in possesso della sua password avrebbe potuto accedere al profilo” ha sostenuto l’avvocato. Un dubbio suffragato a suo giudizio anche dal fatto che un altro partecipante alla chat, accusato di aver inviato foto del pene in quella stessa sede, avrebbe poi negato di esserne responsabile.
Il difensore ha inoltre sostenuto che S.M., affetto da un lieve deficit mentale, sarebbe stato comunque incapace di realizzare un’immagine di quel genere: “Si tratta di un fotomontaggio ben fatto, con la testa proporzionata al corpo, che una persona con scarse capacità intellettive non potrebbe creare da sola”.
Il giudice ha invece ritenuto più credibili le argomentazioni dell’accusa e ha condannato il ragazzo, pur mitigando la pena di otto mesi proposta dal pm.