Era convinto di essere pedinato ovunque, perseguitato perfino dai genitori e dai medici, alla ricerca di una scusa qualunque per sottoporlo di nuovo a un ricovero psichiatrico che lui voleva a tutti i costi evitare. Per alcuni mesi nel 2015 la vita di un fossanese, all’epoca 38enne, si era trasformata così in un inferno di sospetti e paranoie fino a fargli perdere tutto: il lavoro, la sua auto, i mobili di casa.
A questa spirale di autodistruzione, secondo le accuse dell’uomo e della Procura, avrebbero preso parte due persone che aveva conosciuto in quel periodo travagliato e che lo avrebbero assecondato nei suoi deliri al solo scopo di estorcergli denaro: F.M., titolare di uno studio di investigazioni private, e M.B., operatore della sicurezza e istruttore di corsi di autodifesa, si sono così ritrovati a processo con l’accusa di circonvenzione d’incapace dopo la denuncia presentata dalla famiglia.
La presunta vittima di queste macchinazioni era già seguita da anni dal Centro di Salute Mentale di Fossano e aveva subito un trattamento sanitario obbligatorio nel 2012. Ad F.M. era arrivato attraverso Facebook e nel giro di pochi mesi gli avrebbe versato un migliaio di euro in contanti: “Mi aveva invitato a tagliare i ponti con tutti e mi minacciava perché gli dessi il denaro, anche se sapeva delle mie difficoltà economiche” ha raccontato al giudice. I contatti con M.B. invece erano nati dalla frequentazione di un corso di autodifesa tenuto da quest’ultimo: “Ne ho frequentato una sola lezione. In giugno gli ho dato 900 euro per accompagnarmi a Lucca presso un avvocato del posto che si era offerto di trovarmi una sistemazione e un lavoro. Avevo in mente di fermarmi solo pochi mesi in Toscana per poi trasferirmi in America Latina come mi avevano consigliato sia F.M. che M.B.: dicevano che dovevo scappare per salvarmi dalla persecuzione”.
M.B. in particolare avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella gestione delle operazioni necessarie per “liquidare” la sua quotidianità a Fossano e aprire un nuovo capitolo. A lui l’uomo aveva affidato addirittura le chiavi della sua abitazione perché cercasse di venderla, procurandogli un po’ di soldi: “Non ci era riuscito, perché l’alloggio era in comproprietà con i miei genitori. Però aveva venduto i mobili, consegnandomi appena 350 euro: diceva che gli altri gli erano serviti per le sue spese. Non so quanto abbia guadagnato in tutto”. Altri 3500 euro sarebbero andati all’avvocato lucchese che a suo dire doveva operare per “fargli togliere il tso”: il professionista avrebbe anche mediato la vendita dell’auto del suo cliente.
Nei mesi trascorsi in Toscana il fossanese si era poi ridotto a vivere di espedienti, finché il 1 settembre dello stesso 2015 i carabinieri di Pisa lo avevano arrestato in flagranza di reato per aver colpito con una bottiglia molotov una sede della Lega Nord. Ritornato nella Granda, l'uomo ha poi vissuto in comunità e seguito una terapia psichiatrica, recuperando anche il lavoro che aveva abbandonato.
Nell’udienza odierna ha testimoniato in aula anche suo padre: “A quell’epoca mio figlio viveva solo ma ci vedevamo ogni giorno, finché a un tratto ha cominciato a non farsi trovare. Ha cambiato la serratura della porta e scappava via se ci incrociava per strada. Era chiaro che avesse problemi, perciò abbiamo avvisato il Csm di Fossano che lo ha invitato a un colloquio: quando ha ricevuto la raccomandata è scappato a Lucca”. Sul valore dei mobili venduti, il teste ha precisato: “L’alloggio era già ammobiliato dal precedente inquilino, non sappiamo quanto valessero i mobili. Solo per lo stereo e la tv avevamo speso circa 500 euro”.
Il giudice ha rinviato il processo al 19 marzo per ascoltare i periti di difesa e gli ultimi testi prima di procedere alla discussione finale.