FOSSANO - Mobbing in panetteria, il giudice assolve un 65enne fossanese

L’uomo era accusato di maltrattamenti verso una dipendente “storica”: “Mi ha lanciato in faccia l’impasto dei rubatà”. Ma altre testimonianze lo hanno scagionato

Andrea Cascioli 04/03/2024 18:40

Sul lavoro era stimata dal titolare e da tutti i colleghi: in particolare lui, un panettiere fossanese di 65 anni, oggi in pensione, la definiva “una macchina da guerra”. Con quella dipendente di oltre vent’anni più giovane, che nella sua panetteria aveva trascorso più di metà della sua vita, c’era un rapporto quasi filiale: “È una dipendente storica, la invitavamo a casa per Natale e andavamo assieme al mercato” ha ricordato la moglie dell’ex panettiere.
 
Come nelle famiglie, però, anche nelle piccole aziende capita che l’amore si trasformi in odio. La ex dipendente sostiene che ciò sia accaduto nel suo ultimo anno di lavoro, punteggiato a suo dire da insulti e umiliazioni continue. La ragione la riconduce al fatto che il titolare non era riuscito a perfezionare la cessione dell’attività e gli altri due dipendenti “storici” della panetteria lo avevano lasciato, per mettersi in proprio. “Da quel momento, per me, tutto è peggiorato” ha raccontato: fino al licenziamento per troppe assenze e alla denuncia per maltrattamenti sul lavoro, il cosiddetto mobbing. “Gli attacchi di panico erano giornalieri, si svegliava con tremori, crisi di pianto e paura” ha testimoniato il compagno della donna. Anche i rapporti con i nuovi colleghi, assunti per rimpiazzare gli altri, erano difficili: “Uno di loro mi disse ‘hai quarant’anni e non hai ancora figli, fossi in te mi suiciderei”.
 
In aula sono sfilati, uno dopo l’altro, tutti gli ex dipendenti del maestro panificatore, compreso l’autore della frase incriminata: “La frase è stata distorta. - ha precisato - Io le dissi che un figlio le avrebbe ammorbidito il carattere”. Carattere che a suo dire era piuttosto spigoloso, specie nei rapporti con i “novizi”: “Il titolare era equo con tutti, non faceva preferenze: lei tendeva molto a dare risposte secche, a volte molto scortesi”. L’ex collega era presente in occasione di uno degli episodi più gravi tra quelli menzionati in querela: la lavoratrice sosteneva che il suo principale, durante una discussione in laboratorio, le avesse tirato in faccia un pezzo dell’impasto dei rubatà. Il testimone smentisce: “Capitava che lanciassimo l’impasto dei grissini sulla teglia, perché dobbiamo lavorare veloci. In un’occasione, forse, le aveva sfiorato la spalla e lei si era arrabbiata. Ma non era certo un lancio intenzionale”.
 
Anche l’altro apprendista ha confermato le difficoltà nei rapporti con la collega più esperta e ha negato, per contro, di aver mai sentito il titolare pronunciare frasi offensive e sessiste come “le donne non hanno cervello” o commenti irriguardosi sulla vita sessuale della querelante. Il pubblico ministero Alessandro Borgotallo aveva comunque ritenuto provati i maltrattamenti e chiesto una condanna a due anni: “C’è una condotta di sopraffazione. Le cose che la persona offesa ha raccontato sono vere, come è vero che sia stata tirata la pasta”. Di “un calvario durato dieci mesi” ha parlato l’avvocato Domenico Alerino per la parte civile, sottolineando in particolare il lungo periodo di malattia riconosciuto dal medico.
 
“Se fosse stato un maltrattatore, gli ex dipendenti non sarebbero venuti a testimoniare in suo favore” ha obiettato l’avvocato Alberto Summa, difensore dell’imputato: assurdo, ha argomentato, pensare che un capo “che non ha mai maltrattato e ha sempre avuto un atteggiamento paternalistico, nell’ultimo anno decida di maltrattare una lavoratrice ‘cresciuta’ da loro e trattata quasi come una figlia”. “Tutti i dipendenti, - ha aggiunto - dicono che lei aveva ‘un caratteraccio’”: in ogni caso “non possiamo parlare di comportamenti vessatori e mortificanti”.
 
Alla luce dei riscontri emersi in istruttoria, il giudice Sandro Cavallo ha assolto l’ex panettiere perché il fatto non sussiste.

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