Nessuna omissione di atti d’ufficio a carico del dottor Domenico Montù, direttore del Servizio igiene e sanità dell’Asl Cn1, denunciato da un’infermiera non vaccinata. Il tribunale di Cuneo lo ha assolto con formula piena dalle accuse per cui era a processo, dopo l’imputazione coatta decisa dal gup nonostante la richiesta di archiviazione iniziale della Procura.
Al responsabile del Sisp si contestava di non aver risposto alle richieste di chiarimenti che l’infermiera, in servizio all’ospedale di Mondovì, aveva inoltrato tramite il proprio avvocato, nell’agosto 2021. Pochi giorni dopo, la donna era stata sospesa dal servizio perché inottemperante all’obbligo di vaccinazione Covid previsto per i sanitari. In aula ha testimoniato anche il direttore generale dell’Asl Cn1, il dottor Giuseppe Guerra, che era all’epoca commissario per l’emergenza Covid: l’azienda sanitaria, ha spiegato Guerra, vagliava le richieste di esenzione attraverso un’apposita commissione medica, di cui Montù non faceva parte. “Nel 95% dei casi la documentazione che arrivava non giustificava un esonero vaccinale” ha riferito il dottor Pierfederico Torchio, componente della commissione: “Era stato chiarito all’epoca - ha aggiunto inoltre - che tutte le informazioni sulla composizione dei vaccini o altro erano di competenza del medico vaccinatore o del medico di famiglia, a seconda che i soggetti fossero comuni cittadini o sanitari”.
Questo anche perché il consenso avrebbe potuto essere ritirato fino all’ultimo momento, ha ricordato il sostituto procuratore Alberto Braghin, rinnovando la richiesta di assoluzione davanti al collegio: “Montù era quantomeno il destinatario sbagliato di questa richiesta di chiarimento: ha solo preso atto della mancata vaccinazione di un’operatrice sanitaria che aveva un obbligo e non lo ha rispettato”.
“Questo non è un processo ideologico o un atto di accusa verso i medici” ha precisato l’avvocato Rocco Sardo, che rappresentava l’infermiera come parte civile: “La vaccinazione era un obbligo per determinate categorie che potevano sottoporvisi se ritenevano fosse un beneficio per la salute, previo consenso ‘libero e informato’. La salute è un diritto della persona, non della collettività che possa comprimere il singolo”. Prima di procedere alla sospensione, secondo il legale, si sarebbe comunque dovuto rispondere nei termini di legge, anche solo con un diniego. In merito alla responsabilità di Montù, l’avvocato Sardo ha ricordato che si trattava del dirigente che aveva firmato tutte le comunicazioni inoltrate alla dipendente: “Un’infermiera non aveva le competenze per valutare: a quei tempi non si poteva andare dai medici di base e i medici vaccinatori non potevano fornire le indicazioni per esprimere un consenso libero e informato. Un’anamnesi specifica avrebbe richiesto ben altro tipo di analisi”.
Per l’avvocato Andrea Carpinelli, difensore del funzionario insieme al collega Luciano Aimar, l’eventuale risposta fornita di Montù sarebbe stata irrilevante, perché non avrebbe influito sull’iter della sospensione: “Non stava realizzando un trattamento sanitario, ma una procedura amministrativa”. Le tempistiche, aggiunge il legale, erano definite per legge: “È pacifico che Montù e il Sisp in generale non si dovessero occupare della vaccinazione Covid”. Il responsabile dell’ufficio la famosa lettera “non l’ha neanche vista, perché l’organizzazione aziendale prevedeva l’invio a un gruppo apposito e poi, nel caso, al comitato medico”. In ogni caso, aggiunge il difensore, “qualsiasi dipendente dell’Asl poteva rivolgersi anche al medico aziendale. Se l’infermiera non ha mai fatto nulla di tutto questo è perché la richiesta era finalizzata solo a bloccare o ritardare il provvedimento di sospensione”.