“Su Internet nessuno sa che sei un gatto” recita un modo di dire diffusosi nella rete, corredato per scherzo a immagini di mici intenti a scrivere su una tastiera. È anche un invito a non fidarsi di chi si cela dietro a un’identità virtuale, per esempio - nel caso di cui parliamo - un truffatore fattosi passare per membro delle forze dell’ordine.
A farne le spese è stata una ragazza minorenne all’epoca dei fatti. Lei si era fidata di un venditore online che affermava di essere un carabiniere e diceva addirittura di poterle recapitare l’iPhone acquistato tramite un “canale preferenziale” nell’Arma: “Mi diceva che se avessi pagato avrebbe spedito il cellulare in caserma, a un collega di Ceva. Lui poi me lo avrebbe consegnato” ha spiegato al giudice la giovane.
Nulla di tutto questo è accaduto, perché dietro a quell’annuncio sul sito Marketplace non c’era un militare dell’Arma ma un pregiudicato tarantino, A.V., oggi detenuto per altri reati. L’annuncio per la vendita di un iPhone XS era stato pubblicato a nome di suo padre, ma dopo la denuncia i carabinieri (quelli veri) sono stati in grado di rintracciarlo tramite il numero di telefono utilizzato per condurre le trattative e l’intestazione della carta Postepay su cui era stata versata la somma pattuita. I due si erano accordati infine per un pagamento di 330 euro, a fronte dei 400 euro iniziali.
Inutile dire che a fronte del versamento la compratrice non aveva ricevuto alcuna spedizione. Non essendo ancora maggiorenne, la ragazza si era servita del codice fiscale di sua madre per completare l’acquisto: “I soldi, però, erano miei” ha assicurato. Il padre l’aveva poi accompagnata a presentare. Dalle chat di Whatsapp, prodotte dall’accusa, si nota che l’autore del finto annuncio aveva più volte rassicurato l’acquirente circa la sua appartenenza alla Benemerita.
Per lui l’accusa aveva chiesto una condanna pari a un anno e sei mesi di carcere, più 900 euro di multa. Al tarantino era contestata anche l’aggravante della “minorata difesa”, proprio perché la vittima della truffa non poteva avere modo di verificare l’identità del venditore. Questa ulteriore richiesta non è stata però recepita dal giudice Elisabetta Meinardi, la quale ha comminato all’imputato la pena di otto mesi di reclusione e 800 euro di multa, con il beneficio della sospensione condizionale.