Si chiude con una piena assoluzione l’ultimo capitolo della vicenda giudiziaria legata al crac della cooperativa Coestram. L’azienda attiva nel settore escavazioni e trasporti, nata dal fallimento della fossanese Negro Escavazioni snc, era stata a sua volta dichiarata insolvente e chiusa.
Secondo gli inquirenti, la creazione di una società cooperativa era in realtà un espediente con il quale i cugini Guido e Marcello Negro avevano cercato di mettersi al riparo dalle conseguenze della bancarotta. I titolari della Negro snc hanno in patteggiato la condanna a un anno e sei mesi per questa vicenda. La Procura di Cuneo però ipotizzava che anche altri due imprenditori, a capo di aziende in rapporti d’affari con la Coestram, avessero contribuito alla bancarotta depauperando la società.
Il cuneese Massimo Paoletta (residente a Massimino, nel Savonese, dove ricopre l'incarico di sindaco) e il torinese Giovanni Silvio Anello si sono così trovati a rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta. Reato contestato loro in qualità di amministratori delle rispettive imprese, la Sistemi e Tecnologie per l’Ambiente (S.T.A.) di Bagnasco e la Tekno Green di Torino. I due erano accusati in particolare di aver stipulato illeciti contratti di subappalto, per dirottare a beneficio delle loro aziende i pagamenti che Autostrade effettuava alla Coestram nell’ambito di alcuni lavori sulla Torino-Savona. La cooperativa gestiva infatti un cantiere nella galleria Gay di Monti a Mondovì e un altro sul viadotto Mondalavia, nel territorio di Carrù. Da questa attività, secondo le ipotesi degli inquirenti, sarebbe derivato un guadagno complessivo di oltre 120mila euro per la Tekno Green e di 210mila euro per la S.T.A..
Un’ipotesi rivelatasi in realtà insussistente nel corso dell’istruttoria, al termine della quale è stato lo stesso sostituto procuratore Alberto Braghin a chiedere l’assoluzione per entrambi gli imputati. Per quanto riguarda Tekno Green, è emerso che le fatture dovute a Coestram erano state tutte saldate prima della dichiarazione di fallimento: solo un residuo di circa 3mila euro sarebbe stato pagato dopo la chiusura del cantiere. Nel caso di S.T.A., il debito ammontava a circa 90mila euro comprensivi di interessi ma anche in questo caso i lavori erano stati pagati per tempo. Quanto rimaneva si riferiva a cantieri estranei al contratto con Autostrade.
“Questo processo è nato da un equivoco, sull’onda lunga di altre vicende. Ma in concreto è emerso come Anello e Tecnogreen nulla abbiano compiuto di illecito” ha affermato l’avvocato Massimo Somaglino. Per la difesa Paoletta, rappresentata dagli avvocati Legario e Frascarelli, “si aveva la sensazione di trovarsi di fronte a un muro di gomma, oggi per fortuna abbiamo avuto una dimostrazione nel senso contrario”.