Da detentrice di una piccola fortuna, centottantamila euro divisi su tre conti bancari, a indigente costretta a rivolgersi alla Caritas per mangiare. La triste storia di un’anziana di Villanova Mondovì si intreccia con quella di L.B., pregiudicato di Borgo San Dalmazzo, classe 1971, di venticinque anni più giovane di lei: amico, confidente, forse qualcosa di più.
È l’uomo che la signora ha accusato di averle estorto denaro, a forza di minacce e botte, per oltre tre anni. Tanti ne sarebbero serviti per prosciugare i conti bancari, oltre ai 27mila euro in contanti che la donna diceva di aver nascosto in un guardaroba e altri 30mila euro di gioielli in oro, anch’essi occultati in casa. Ma è davvero questo ciò che è accaduto? Non secondo i giudici del tribunale collegiale di Cuneo, che hanno assolto il borgarino dalle imputazioni perché il fatto non sussiste.
L’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Alberto Braghin con una richiesta di pena finale di sei anni e sei mesi, ruotava essenzialmente attorno al racconto della presunta vittima. “Sembrava una persona educata e gentile. Ci siamo scambiati i numeri di telefono, qualche giorno dopo è venuto a trovarmi” ha detto in aula, rievocando il primo incontro con L.B. su un pullman, tra Mondovì e Cuneo. Lui, ha spiegato l’anziana, si lamentava perché non aveva soldi e non trovava lavoro: “Chiedeva se potessi lasciargli qualcosa. Una volta ho accettato di dargli cinquecento euro”. Poi dalle richieste si sarebbe passati alle minacce e alle botte, inducendo nella donna uno stato di terrore che sarebbe durato anni: “Mi prendeva a calci nelle gambe, mi insultava. Violenze e minacce si sono ripetute più volte, dopo quindici giorni che ci conoscevamo si è presentato con una pistola”. L’accusato, con precedenti per violenza sessuale e reati contro il patrimonio, ha negato di aver mai chiesto o accettato denaro da quella donna, se non in pagamento di alcuni lavori di pulizia: “Mi raccontava però di aver prestato denaro ad altre persone e che attendeva di riaverlo. A volte si faceva accompagnare da me a prelevare in banca, oppure mi mandava con la sua carta e il codice. Non so cosa facesse con quei soldi”.
Per dirimere la questione, il tribunale ha chiesto una perizia psichiatrica sulla persona offesa. Ne è emerso che l’anziana è affetta da un disturbo delirante che tuttavia non ha influito sulla sua capacità di testimoniare, mentre lo ha fatto il disturbo cognitivo maggiore diagnosticato: la signora, in particolare, è incapace di collocare cronologicamente gli eventi. La psichiatra lo spiega con un esempio: “Può ricordare un gol di Lukaku, ma non ricordare se fosse stato segnato ieri o mesi fa”. “Il nucleo essenziale della contestazione è però rimasto inalterato” ha sostenuto il pm, evidenziando come l’autrice della denuncia “non si è contraddetta su circostanze essenziali, quando ha parlato di minacce e di percosse”. Sospetto, a giudizio dell’accusa, anche il fatto che la frequentazione tra i due coincidesse con il periodo del rapido impoverimento di lei: “Centottantamila euro prosciugati anche con pagamenti di pedaggi autostradali e carburante, sebbene la signora non avesse la patente. Non risulta nemmeno che frequentasse ristoranti o sale giochi”. D’accordo il patrono della parte civile, avvocato Andrea Naso: “Nella perizia si spiega che i falsi ricordi sono ‘collocati in modo sbagliato’, cioè relativi a piccole dimenticanze e non alla condotta del reato”.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Alessandro Ferrero, ha evidenziato invece l’assenza di riscontri esterni, a cominciare dalla pistola, mai ritrovata: “Supponiamo pure che l’imputato abbia voluto approfittare di una debolezza della signora e magari di una certa inclinazione sentimentale nei suoi confronti, che abbia insomma fatto la ‘bella vita’ con quei soldi. Siamo al reato o a una condotta moralmente censurabile, che però non valica la soglia della violazione penale?”. Un discrimine sottile, che i giudici hanno ritenuto di poter interpretare in maniera favorevole per l’imputato.