Un oltraggio a un carabiniere, pronunciato - senza accorgersene - proprio di fronte alla persona di cui aveva fatto nome e cognome, è costato la condanna a nove mesi a un 43enne di Clavesana. L’uomo, titolare di un bar, si era indispettito per un controllo sui greenpass effettuato da una pattuglia dell’Arma nel febbraio 2022.
Il barista sosteneva che il locale fosse già chiuso e perciò non più accessibile alla clientela. All’interno, secondo le testimonianze, si trovavano solo lui e due amici intenti a mangiare una pizza. A fronte dell’insistenza dei militari nel chiedere i certificati e delle proteste dei presenti, gli animi si erano surriscaldati e P.F., più tardi denunciato, aveva pronunciato queste parole: “Perché non andate a controllare il carabiniere [omissis]? Compra la droga dal marocchino di Dogliani”. Questo, almeno, è quanto sostiene di aver udito il carabiniere menzionato, che ha in seguito sporto denuncia: “Per via della mascherina, P.F. non si era accorto che il carabiniere davanti a lui ero proprio io” ha spiegato.
Nemmeno l’improvvisa rivelazione avrebbe indotto il barista a desistere: “Quando mi sono abbassato la mascherina mi ha detto ‘perché non andiamo a fare il test antidroga?’”. L’astio nei suoi confronti, sempre secondo la versione del militare, trarrebbe origine da un controllo di un paio d’anni precedente e da presunte violenze che l’uomo affermava di aver subito da parte del carabiniere. Circostanza negata da quest’ultimo. Il pubblico ministero Davide Fontana, all’esito dell’istruttoria, ha chiesto per l’imputato la condanna a cinque mesi: “I carabinieri sono entrati perché il locale era ancora aperto” ha sostenuto il rappresentante della Procura, rigettando quindi l’ipotesi difensiva. Rilevante, a giudizio dell’accusa, il fatto che il 43enne avesse “rincarato la dose” anche dopo aver riconosciuto la persona che aveva davanti: “Anche un teste di difesa dice di aver sentito le accuse. È stato leso il decoro di un militare che compiva un atto d’ufficio, perché la richiesta del greenpass in quel periodo rientrava tra i poteri dei pubblici ufficiali”.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Nadia Gallo, aveva chiesto per contro l’assoluzione, alla luce del fatto che quel controllo sarebbe stato effettuato non durante l’attività commerciale ma nel momento in cui si teneva “una cena tra amici in una dimora privata”. Al di là delle dichiarazioni, ha affermato il difensore, “c’è assoluta certezza che nel momento in cui i carabinieri sono entrati il locale era chiuso. Il dato oggettivo è l’orario di chiusura della cassa”. Sarebbe quindi venuto meno “il presupposto per la sussistenza di questa fattispecie di reato, cioè che i fatti avvengano in luogo pubblico o aperto al pubblico”. A infastidire i presenti sarebbe stato il passaggio dalla richiesta di greenpass “a un controllo definito ‘antidroga’, con modalità che avrebbero in effetti innervosito e spaventato chiunque. È emerso che sia i due ospiti che l’imputato non condividessero questo modo di procedere e comunque si sono mostrati disponibili”.
Il giudice Elisabetta Meinardi, ritenendo invece provata la commissione del reato, ha condannato l’imputato a una pena di nove mesi.