Per il tribunale non c’è alcuna prova dei maltrattamenti che un’anziana, all’epoca 87enne, affermava di aver subito da parte della figlia e del genero.
La sentenza del giudice Sandro Cavallo è arrivata dopo una lunga istruttoria a carico di due coniugi residenti a Villanova Mondovì, lui 67enne e lei 64enne. Anche in udienza la novantenne - oggi ospitata in una casa di riposo - aveva confermato la sostanza delle
accuse messe nero su bianco tre anni fa davanti ai carabinieri:
“Mi trattavano peggio di un cane, come una schiava. Non so come faccia a essere ancora viva” aveva riferito. La signora aveva parlato di violenze fisiche patite nel corso degli oltre quindici anni di convivenza:
“Mia figlia mi prendeva a pugni e schiaffi, e tanti. Una volta mi ha dato un calcio alla schiena, un’altra volta alla gamba che poi si è gonfiata”. Il genero, sosteneva, in un’occasione le aveva sferrato un pugno alla testa:
“Aiutavo con i lavori in campagna ma non era mai contento”.
Eppure non c’è agli atti alcun referto ospedaliero che confermi la sostanza delle accuse, come non ha mancato di rilevare la difesa.
Che i rapporti tra i due coniugi e la mamma di lei non fossero idilliaci lo hanno sostenuto alcuni vicini. Una donna, in particolare, affermava di aver visto la figlia chiudere l’anziana madre fuori di casa in almeno un’occasione:
“Lei aveva fatto i suoi bisogni davanti al garage perché non poteva rientrare. Sarà rimasta lì fuori per un paio d’ore”. Un’altra volta sarebbe stato invece il genero ad apostrofarla con epiteti ingiuriosi dopo averla lasciata fuori casa:
“Oltre ad insultarla le urlava frasi come ‘non vuoi ancora morire? Un giorno prendo una pala e ti faccio una fossa’”.
“Sentivo urlare la figlia e piangere la mamma. - ha raccontato un altro vicino -
Quando poi andavano via la chiudevano fuori: un giorno mi sono permesso di darle da bere e sua figlia mi ha rimproverato”.
Entrambi gli imputati hanno smentito con convinzione ogni addebito: “Per lei ho smesso di lavorare, le ho tenuto compagnia per anni e lo rifarei diecimila volte, perché è mia mamma” ha affermato la figlia, attribuendo il deterioramento dei rapporti con la madre ai problemi depressivi dell’anziana e al malanimo che sarebbe stato fomentato da altri familiari, in seguito a questioni ereditarie. Anche in casa di riposo, ha sottolineato, ha continuato a visitare la madre e a interessarsi del suo stato di salute. Parole analoghe quelle pronunciate dal genero della parte offesa: “Gli insulti? Non gliene ho mai rivolti, anzi quando è peggiorata, nell’ultimo periodo, era lei a insultarmi nonostante tutto ciò che facevo per accudirla”.
Il pubblico ministero Anna Maria Clemente aveva comunque dato credito alle accuse chiedendo per entrambi la condanna a due anni e quattro mesi: “Nella stanza dell’anziana, in casa degli imputati, i servizi sociali avevano riscontrato una condizione igienica assolutamente precaria. Se non c’era la possibilità di accudirla avrebbero dovuto cercare un aiuto esterno” ha affermato la rappresentante della Procura. Stesse conclusioni dall’avvocato di parte civile Mario Vittorio Bruno: “Sappiamo quanto può essere difficile avere a che fare con gli anziani in situazioni di stress. Ma dobbiamo affermare, pur a malincuore e consci delle difficoltà attraversate anche dagli imputati, che non si doveva arrivare a questo punto”. L’avvocato difensore, Gabriella Turco, ha menzionato invece le testimonianze di altri frequentatori abituali della casa che negano di aver mai visto tracce di maltrattamenti: “Siamo di fronte a una persona di 90 anni con problemi psichiatrici documentati. Gli imputati si sono occupati di lei nel modo migliore possibile”.
La sentenza del giudice ha accolto la versione prospettata dalla difesa, assolvendo entrambi gli accusati per insussistenza dei fatti.