Malgrado le norme più restrittive introdotte negli ultimi anni, accade purtroppo a molti di noi di essere molestati al telefono da call center, venditori e talvolta artefici di vere e proprie truffe. È successo anche a una famiglia residente nel piccolo comune di Briga Alta, nel Monregalese: “I miei genitori erano terrorizzati. A papà venivano attacchi di tachicardia quando rispondeva al telefono” ha raccontato la figlia in tribunale, rievocando i fatti di oltre tre anni fa per cui in quattro - tutti assolti - sono finiti a processo.
La vicenda era cominciata quando la coppia aveva accettato di acquistare alcuni volumi proposti per via telefonica. Testate altisonanti come “Gli eroi del nuovo millennio” e “Le benemerite d’Italia”, senza periodicità né indicazioni relative al prezzo in copertina, che i venditori affermavano di distribuire per conto di istituzioni, enti benefici e corpi di polizia dello Stato. Come la Protezione Civile o la Croce Rossa, per esempio: “Durante le alluvioni del 1994 e del 2008 ci avevano aiutati molto, per questo avevamo sottoscritto l’acquisto” ha ricordato la moglie dell’uomo che ha poi presentato querela.
Lui afferma di non aver mai sottoscritto nessun abbonamento, ciononostante era divenuto il bersaglio di sempre più pressanti e minacciose richieste di denaro. C’era chi telefonava qualificandosi come cancelliere di un giudice di pace di Roma, chi prometteva improbabili “class action” e chi diceva di parlare per conto di una casa editrice: “Il telefono ha continuato a squillare, non rispondevamo più perché eravamo terrorizzati. Alla fine mia figlia ha risposto e gli ha detto di rivolgersi al nostro avvocato. Non si sono più fatti vivi”. A minacciare ritorsioni era anche una donna, che già un anno prima aveva chiamato per notificare il mancato saldo di un abbonamento. In quel caso i signori avevano accettato di versare 150 euro per ricevere un ulteriore volume, con la promessa che la faccenda si sarebbe conclusa lì: “Nel pacco, però, non c’era nessun modulo per la disdetta”. Sei mesi dopo, infatti, la stessa donna li aveva contattati per rendergli noto che la disdetta era valida solo per un semestre e che quindi avrebbero dovuto saldare anche quanto rimaneva.
In seguito alla denuncia i carabinieri avevano accertato che nessuno degli enti chiamati in causa aveva mai autorizzato la pubblicazione di quei volumi, non collegati quindi ad alcuna raccolta fondi. Le telefonate provenivano da utenze intestate a cittadini egiziani o rumeni sconosciuti alle autorità, altre ancora da un soggetto di Caltanissetta rimasto estraneo alle indagini. A processo sono finite invece quattro persone che risultavano tutte già sottoposte a indagini per vari reati collegati tra loro: A.S., titolare della ditta Abbonamenti Italia di Noci (Bari) con il suo collaboratore L.L.R., R.P. della RCM Diffusione e infine V.C., quale intestatario dell’Iban fornito dagli autori della presunta estorsione.
Per tutti loro il sostituto procuratore Pier Attilio Stea aveva chiesto condanne: a sei anni e due mesi per L.L.R., sei anni e un mese per R.P., due anni per A.S. e altrettanti per V.C., tutti accusati di truffa e tentata estorsione in concorso. “La persona offesa - ha ricostruito il pm - aveva acquistato una rivista fuori commercio. Ma qualcuno aveva i suoi dati e questi sono passati di mano in mano da un operatore all’altro. Venivano così millantati crediti per un abbonamento mai sottoscritto”. La parte civile, risarcita dal solo A.S., aveva domandato 10mila euro di danni ai coimputati.
Tutte le difese hanno sostenuto l’estraneità dei relativi assistiti alle vicende. Nel caso di A.S., si è rilevato che l’utenza telefonica non fosse a lui riconducibile e che egli stesso, in passato, avesse proposto querela perché alcuni suoi abbonati avevano ricevuto richieste estorsive. In ogni caso, nel 2017 la società Abbonamenti Italia si trovava già sotto sequestro giudiziario. L.L.R., collaboratore della stessa società, ha ammesso di aver venduto solo la prima rivista, spedita però alla Pro Loco di Upega e non all’indirizzo personale della persona offesa. Quando alla titolare di RCM Diffusione, R.P., la difesa si è basata sul fatto che la vittima della tentata estorsione avesse affermato di non essere sicuro che la richiesta di pagamento arrivasse da questa società. Infine l’intestatario del conto, V.C., avrebbe in realtà posseduto un Iban diverso al momento dei fatti per via dell’avvenuta fusione tra due istituti bancari.
I giudici del tribunale collegiale, all’esito dell’istruttoria, hanno assolto tutti e quattro gli imputati per non aver commesso il fatto.