L’uomo sosteneva di essere stato percosso e minacciato di morte a più riprese da colui che gli aveva affidato in custodia la sua abitazione, prima di partire insieme alla moglie per un soggiorno di cinque mesi in Thailandia: “Quando è giunto in macchina sul luogo dell’incontro - ha raccontato al giudice - ha afferrato dal lato passeggero un bastone di 90 cm e me l’ha puntato alla gola, cominciando a urlare. Ero paralizzato dalla paura, mi ha colpito con bastonate, pugni e calci”. Il pestaggio sarebbe avvenuto verso le sette di sera nel pieno centro del paese, mentre la moglie di R.F. aspettava a bordo del veicolo.
Motivo di tanta acredine erano secondo l’autore della denuncia proprio le condizioni dell’automobile: la presunta vittima l’aveva danneggiata nel periodo in cui il proprietario era assente, ma sosteneva di aver già provveduto alle riparazioni a sue spese. R.F. avrebbe preteso però che l’amico acquistasse la sua auto per 25mila euro e ne intestasse un’altra di pari valore a sua moglie. Nel duro confronto l’imputato avrebbe anche intimato all’altro di sparire da Garessio: “Aveva preso a chiamarmi ‘numero 13’. Diceva che quando faceva il mercenario in ex Jugoslavia aveva già ucciso dodici persone e che una in più non avrebbe cambiato nulla”.
Fra le circostanze menzionate dal suo accusatore, R.F. ha riconosciuto come vere solo il fatto che quella sera ci fosse stato l’incontro e che lui vi si fosse recato con un bastone: “È una cannetta di bambù alla quale mi sorreggo quando vengo colto da crisi di lombosciatalgia” ha spiegato. Quanto alla questione dell’auto, sarebbe stato proprio il suo interlocutore a proporgli uno “scambio”: “Mi proponeva di cedergli la mia macchina, in cambio lui me ne avrebbe acquistata una nuova. Dovevamo recarci dal concessionario il giorno dopo”. A domandare chiarimenti quella sera, però, era stato R.F.: “L’auto aveva problemi alle ruote, allo sterzo e ai freni. Il meccanico mi ha detto che alcuni pezzi erano stati cambiati dopo due diversi incidenti. Il mio amico non aveva il permesso di utilizzarla in mia assenza, ma ero venuto a sapere che l’aveva fatto più volte trasportando anche altre persone dietro compenso”.
Sebbene la discussione possa essersi a tratti animata, l’imputato nega di aver mai puntato il bastone alla gola dell’altro uomo e tantomeno di averlo percosso. Anche le presunte minacce sarebbero colorite invenzioni di quest’ultimo: “L’espressione ‘numero 13’ è un mio vezzo e si riferisce al fatto di portare sfortuna. Non ho mai fatto parte di corpi paramilitari né combattuto in nessuna guerra, forse ha preso spunto dal fatto che gli avevo raccontato di aver conosciuto vari ex legionari francesi in Thailandia. In ogni caso, avendo curato una tesi sui contractors so che la media di uccisioni in carriera per ciascun mercenario è di una o due persone: dodici vittime sarebbe davvero un numero da film americano”.
Il 12 aprile si terrà la discussione finale del processo.