VIOLA - “Ho visto morire il mio amico Andrea Pastor”: in aula le testimonianze sull’incidente a Viola

Per il tragico schianto in mountain bike di due anni fa è sotto accusa il gestore della pista. Il vigile del fuoco 38enne, padre di due figli, picchiò contro una rampa

a.c. 06/11/2023 19:20

“Lui non era un amante di queste rampe artificiali, la montagna gli piaceva al naturale: quel giorno ci è andato per fare contenti gli amici”. Parla in tribunale a Cuneo la vedova di Andrea Pastor, il vigile del fuoco imperiese morto in un tragico incidente alla pista di downhill di Viola St. Gréé, il 3 ottobre di due anni fa.
 
Andrea era un grande sportivo ed era lì insieme a una comitiva di appassionati di mountain bike, cinque in tutto. La sua idea era quella di cimentarsi su tutte le piste dell’impianto compresa la più difficile, la “Saltimbanco”: “Io quella non la volevo fare” spiega un altro componente del gruppo, il ciclista che lo ha visto mancare il salto, schiantarsi sulla rampa e cadere. “Ha sbattuto all’altezza del petto sul bordo della seconda rampa, quella di atterraggio. Io l’ho visto succedere ma non ho sentito nulla. Poco dopo mi sono fermato e sono tornato indietro” racconta il testimone.
 
Per la morte del 38enne, padre di due figli piccoli, è ora a processo con l’accusa di omicidio colposo F.R., il gestore del complesso “Porta della Neve”. Secondo la Procura non avrebbe messo in sicurezza il tracciato che Pastor stava percorrendo, affiancato dall’altro mountain biker. Quest’ultimo ricorda che per l’accesso alla pista erano richiesti il casco integrale, le ginocchiere e le gomitiere, ma non sa dire se qualche addetto alla sicurezza si fosse premurato di controllare: “Io ero il quarto della fila, Andrea era il terzo. Tutti quelli davanti a me hanno preso la pista più semplice sulla sinistra, Andrea ha girato sulla destra ed è entrato nella più difficile”. Quando aveva raggiunto l’amico, la sua condizione era già gravissima: “Ho visto che non riusciva a respirare e ho chiesto aiuto, stava cambiando colore in volto”. Nemmeno l’immediato intervento di un’infermiera di passaggio, che insieme al compagno si trovava a piedi in un sentiero vicino, era servito a salvargli la vita. Dopo il massaggio cardiaco, praticato sia da lei che dai soccorritori del 118, non era rimasto altro che dichiarare il decesso del 38enne.
 
“Non ricordo se quella rampa fosse segnalata. Non si vedeva che in mezzo c’era il vuoto e non avevamo mai affrontato un salto così” afferma ora il testimone diretto della tragedia. I carabinieri sostengono invece che l’indicazione ci fosse, con un cartello che invitava ad imboccare la rampa a velocità adeguata. C’era anche un materasso protettivo, diviso in tre parti, una delle quali era legata alla rampa di atterraggio e posizionata in verticale, mentre le altre due scendevano a terra. Dovevano servire per attutire il colpo ed evitare conseguenze gravi a chi non fosse riuscito a completare il salto. Un’accortezza inutile, purtroppo, nel caso di Pastor.
 
Per lui non era la prima volta, dice la moglie: “Ci sono tante discese naturali nell’Imperiese, ma solo ad agosto 2021 eravamo andati in un impianto, mentre eravamo in vacanza in Trentino”. Suo marito, aggiunge, era in perfetta salute e veniva controllato spesso, essendo in servizio da otto anni nei vigili del fuoco: oltre a dedicarsi alla mountain bike faceva trekking, arrampicata, sci e a partire dai sedici anni aveva fatto parte del Gruppo speleologico imperiese. Più tardi aveva abbandonato per fare il pompiere, prima a Cuneo e poi a Ventimiglia, più vicino alla sua Pigna: sognava di entrare nel nucleo dedicato al soccorso alpino e fluviale, l’“élite” dei vigili del fuoco. Nel frattempo aveva già partecipato a missioni importanti sia come speleologo che con i pompieri, durante gli incendi in Sicilia e dopo il terremoto del centro Italia. “Ma è sempre stato preciso e attento alla sicurezza, soprattutto da quando aveva famiglia”, ricorda la moglie. Il prossimo 15 gennaio il giudice ascolterà altri testimoni.

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