Sono pesanti le richieste di condanna della Procura per alcuni dei protagonisti di una rissa scatenatasi nel cortile di un condominio a Mondovì. Si parla, con un eufemismo, di “atteggiamenti molto sopra le righe”, per stigmatizzare un episodio accaduto nel giugno 2019 dopo una banale lite.
Il “casus belli” sarebbe stato la presenza di un bambino che giocava in cortile assieme ad un amichetto. Alla richiesta di fare meno rumore, da parte del vicino, aveva fatto seguito la focosa reazione della madre e del fratellastro del piccolo, L.N. e A.N., cui secondo le accuse avrebbe dato manforte - con minacce verbali - anche G.T., il marito della donna. Il vicino, A.S., si apprestava a uscire in auto dal garage: “Mi aggredirono obbligandomi a scendere dall’auto e mi presero a calci e pugni”. Sua moglie ha raccontato di essere stata a sua volta aggredita, in particolare dalla vicina che le avrebbe poi strappato e distrutto il cellulare per impedirle di riprendere la scena. Dei bambini, spaventati e piangenti, si era occupato invece un altro condomino, accorso dopo aver sentito le urla: “C’erano due uomini e due donne che si picchiavano, li conoscevo di vista. I bambini erano sullo sterrato in mezzo a calci e pugni. Mi sono preoccupato solo di loro e li ho portati in casa mia”.
I protagonisti della triste vicenda si sono ritrovati a processo per rissa, oltre a varie accuse ulteriori. A.S. aveva riportato la frattura setto nasale, di un incisivo e della mandibola, la sua vicina L.N. ne era uscita a sua volta con il naso rotto e una trentina di giorni di prognosi. Un’animosità, la loro, che si era già manifestata in altre occasioni, e di cui più volte ci si è occupati nelle aule di giustizia. Il pubblico ministero Alessandro Borgotallo ha differenziato le responsabilità, chiedendo l’assoluzione per il solo A.S.: decisive, a suo dire, le deposizioni del testimone “neutrale” e dei carabinieri. Questi ultimi hanno raccontato di aver visto L.N. e il figlio A.N. ancora intenti a malmenare gli avversari nel momento in cui erano sopraggiunti. Nei confronti di quest’ultimo pesa anche l’accusa di evasione: al momento della baruffa in cortile, infatti, si trovava agli arresti domiciliari.
Per lui il pm ha chiesto una condanna a sei anni di carcere, mentre per la madre la richiesta è di cinque anni e sei mesi. La mancata concessione delle attenuanti generiche è giustificata, argomenta il rappresentante dell’accusa, anche dal comportamento tenuto da L.N. in aula: “In questo atteggiamento ostile e renitente, reiterato davanti al giudice, c’è la misura di quanto accadde” sostiene il procuratore. Per il marito della donna, G.T., si propone la condanna a cinque mesi. L’avvocato Luca Blengio, legale di A.S., si è associato alle conclusioni ricordando che il suo assistito “non può utilizzare la mano sinistra, quindi non poteva minacciare con un coltello, come sostenuto dalla vicina, e tenere le chiavi con la stessa mano. Solo lui e la moglie inoltre sono stati medicati all’arrivo dell’ambulanza”.
Quella del pm è definita invece “una lettura a senso unico e ben poco obiettiva” dall’avvocato Stefano Barzelloni, difensore di L.N.: “Non c’è prova del suo concorso con il figlio per le lesioni subite da A.S., che sono comunque da ricondurre alla legittima difesa: nessun testimone vede l’azione di entrambi”. Per la difesa di A.N., rappresentata dall’avvocato Carla Arnaudo, la condotta dell’imputato non si può qualificare come evasione: “Non ha tentato una fuga e non ha dato segno nemmeno di volersi allontanare dal domicilio. È uscito dalla porta di casa è perché è accorso in difesa della madre: dall’istruttoria risulta che la signora è stata aggredita da A.S. e dalla moglie. Si rileva che era fuori dalla porta di casa ma non dal perimetro dell’abitazione, si trovava nel cortile”. Per G.T., accusato solo di minaccia, ha parlato l’avvocato Luisella Cavallo: “Non c’è nemmeno l’ombra di un elemento per affermare la sua responsabilità in merito alle minacce, a parte le dichiarazioni dei vicini”. Il responso del giudice è atteso per il 15 novembre.