Secondo la Procura di Torino è un falso orchestrato nei dettagli, compreso lo smarrimento del libretto di circolazione che avrebbe consentito la reimmatricolazione della vettura. Parliamo di un’Alfa Romeo TZ, un modello “mitico” del Biscione, risalente agli anni Cinquanta: è l’auto al centro dell’inchiesta che il pm Valentina Sellaroli ha chiuso con ipotesi di ricettazione, riciclaggio, truffa e contraffazione.
Gli indagati sono l’imprenditore monregalese Giorgio Vinai, presidente della società di costruzioni Conicos, e un noto concessionario torinese di auto storiche, Simone Bertolero. Vinai è conosciuto per i suoi affari in vari Paesi africani tra cui la Libia, dove la sua impresa - in attività dal 1982 - è tra le poche ad essere rimaste dopo la guerra. Secondo gli inquirenti, l’imprenditore avrebbe assemblato i pezzi di una macchina distrutta a Le Mans e contraffatto il telaio. Bertolero lo avrebbe aiutato a ottenere il certificato di rilevanza storica dell’Asi e poi nella vendita della berlina, per 820mila euro, a un ignaro appassionato.
Niente affatto, ribattono le difese: “Era palese, da parte di tutti, la consapevolezza che si trattasse di un assemblaggio, non di un modello originale” sostiene l’avvocato Paolo Botasso, difensore di Vinai. La prova di questo, aggiunge il legale, è proprio il prezzo a cui è stata poi venduta la vettura: “Parliamo di una valutazione di 3 milioni per un’auto originale, non degli 820mila euro a cui è stata acquistata dal concessionario o della somma a cui l’aveva venduta Vinai, ancora inferiore”.
La vicenda, risalente ormai a quattro o cinque anni fa, scaturirebbe in realtà da una denuncia presentata non dall’acquirente ma da un altro collezionista, il quale afferma di essere stato il primo proprietario dell’Alfa: “Nessuno ha mai venduto l’auto come originale. Nelle fatture, addirittura, c’è scritto che è ricostruita” afferma il difensore del concessionario, l’avvocato Fabio Ghiberti.