CEVA - Madre e figlio assolti per lo scippo “con l’abbraccio” ai danni di un cebano

La vicenda risale al 2012: alla vittima era stata portata via una catena da 600 euro. I due imputati, di origine sinti, erano stati arrestati un mese dopo per fatti analoghi

a.c. 14/12/2020 20:06

 
Non è bastato nemmeno il pedinamento della polizia a provare con assoluta certezza che A.B. e sua madre E.L. fossero gli autori materiali dello scippo con abbraccio ai danni di un 75enne cebano, perpetrato il 6 luglio del 2012.
 
Risale infatti a ben otto anni fa la vicenda giudiziaria per cui madre e figlio di origine sinti, residenti l’una a Magliano Alpi e l’altro a Trinità, sono stati assolti per non aver commesso il fatto dal tribunale di Cuneo. I due all’epoca erano già attenzionati dalla polizia che proprio in quella giornata ne aveva disposto il pedinamento. Gli agenti avevano visto l’auto intestata alla compagna di A.B. e guidata presumibilmente dall’uomo dirigersi a Magliano Alpi per poi allontanarsi verso la Liguria.
 
Qui la polizia stradale di Imperia aveva seguito il veicolo per un tratto, fino a quando aveva imboccato la SS 28 in direzione di Ormea: “A bordo c’erano un uomo, il guidatore, e una donna. Li abbiamo seguiti con gli scooter ma non ho potuto distinguerne i connotati” ha affermato uno degli agenti che eseguirono il pedinamento. In un’occasione, ha aggiunto il teste, l’auto si era allontanata per breve tempo e quando era ricomparsa presentava una targa modificata, con i numeri in leggero rilievo. Dai successivi accertamenti era stato possibile appurare che alle 18,40 l’auto era entrata nell’abitato di Ceva, prima di far rientro a Magliano Alpi dove un membro delle forze dell’ordine aveva riconosciuto E.L. seduta al posto del passeggero. La collocazione a Ceva nel tardo pomeriggio, secondo gli inquirenti, rendeva plausibile sostenere che la donna fosse proprio quella che dopo essere scesa dall’auto era stata vista avvicinarsi a un anziano del posto e abbracciarlo, fingendo di averlo riconosciuto. Nel fare questo, prima di dileguarsi, la scippatrice aveva strappato la catenina che il 75enne indossava, dal valore di circa 600 euro.
 
Per il pubblico ministero Davide Fontana non c’è dubbio che fosse proprio E.L., già condannata per vari reati analoghi fino al 2003, l’esecutrice dello scippo: a suo carico pesava anche il successivo riconoscimento fotografico effettuato dalla vittima del furto e da una sua conoscente, che avevano fornito anche approssimative descrizioni sull’abbigliamento della donna. Per E.L. il rappresentante della Procura aveva chiesto un anno e sei mesi e per il figlio A.B., incensurato, una pena di sei mesi.
 
Sulla supposta invalidità dei riconoscimenti si sono incentrate le difese degli avvocati Mario Bovetti e Rosalba Cannone, i quali hanno contestato sia le modalità di indagine che le contraddizioni dei testi: “I due testimoni - hanno sottolineato i difensori - parlano di una donna di almeno trent’anni più giovane e il cui abbigliamento viene descritto in modo completamente diverso nelle versioni dell’uno e dell’altra. Anche l’orario di ingresso dell’auto in paese non corrisponde a quello dello scippo”.
 
Un mese dopo i fatti per cui erano oggi a processo, E.L. e A.B. erano stati arrestati con analoghe accuse. Anche in quell’occasione, il processo celebrato di fronte al tribunale di Alessandria si è poi concluso con verdetto assolutorio.

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