Negli anni più gloriosi della sua esistenza, quando i camion portavano impresso sulle fiancate il marchio Gazzola, il pastificio monregalese di via Cuneo riforniva la Barilla con 30 autotreni al giorno. Poi nel 1999 il passaggio di proprietà dalla famiglia che l’aveva guidato per quasi ottant’anni, i cambi di denominazione e la crisi irreversibile, sancita dal fallimento nel 2012.
Il crac della Monte Regale srl ha avuto uno strascico giudiziario che ha portato sul banco degli imputati con l’accusa di bancarotta fraudolenta i marchigiani G.A. e R.A., già membri del consiglio di amministrazione (l’amministratore delegato monregalese C.D. ha optato per il rito alternativo). Nel mirino della Procura anche due ex membri del collegio sindacale, S.F. e M.C., accusati di bancarotta semplice per non aver vigilato sulla gestione. Il titolare della S.M.A. srl, R.M., deve rispondere di concorso in bancarotta preferenziale in quanto fornitore e socio della Monte Regale srl. Infine il commercialista P.C.R., che attestò la fattibilità del progetto di concordato preventivo. A loro carico il sostituto procuratore Pier Attilio Stea ipotizza una serie di decisioni commerciali colpevolmente errate e presunte distrazioni di fondi che sarebbero all’origine del fallimento. L’azienda dava lavoro a 116 dipendenti, operando come rivenditore per la grande distribuzione e le imprese alimentari.
Una delle contestazioni principali riguarda la presunta vendita di 5mila tonnellate di pasta già inscatolata a una piccola impresa agricola di Chiusa Pesio. I vertici aziendali sostengono di aver ceduto quei quantitativi, a prezzi dieci volte inferiori a quelli di mercato, perché si trattava di scarti rifiutati dalla Barilla dopo essere stati giudicati non idonei all’uso alimentare. Secondo la Procura, invece, i prodotti fallati non sarebbero mai stati ritirati dal compratore indicato ma rivenduti sottobanco ad altri acquirenti: “Nell’anno 2008 la Barilla aveva rilevato la presenza di una microtossina che di norma si sviluppa sui grani di Paesi freddi come il Canada o l’Ucraina. Quell’anno, dato il clima molto umido, venne riscontrata anche sui grani italiani” ha spiegato un ex componente del collegio sindacale, sentito come testimone.
A seguito di quella scoperta, la pasta già inscatolata era stata giudicata non commerciabile per l’alimentazione umana e solo parzialmente riutilizzabile come mangime animale: “I cereali - ha aggiunto il teste - vennero smaltiti in parte come mangime e per il resto in biomassa. Era un enorme quantitativo di prodotto per il quale si doveva procedere al ritiro e alla distruzione: non era nemmeno questione di prezzo, dato che lo smaltimento sarebbe stato comunque un costo”. La decisione di vendere con un ribasso inferiore di dieci volte rispetto al prezzo di mercato era stata quindi approvata dal collegio sindacale. Un’affermazione alla quale il pubblico ministero ha replicato domandando se i sindaci fossero al corrente del fatto che i prodotti, per ben 5mila tonnellate, sarebbero andati in teoria alla stessa ditta a conduzione familiare che si occupava di ritirare dalla Monte Regale quantitativi molto inferiori di scarti: “Il collegio sindacale non è entrato nel merito di chi si occupasse dello smaltimento” ha ribattuto il testimone.
Per il prossimo 25 febbraio è stato fissato l’esame degli imputati.