Con la moglie aveva in programma di lasciare la Liguria e trasferirsi a Milano, dove la figlia di sedici anni voleva incominciare a studiare medicina dopo il diploma. Non è mai accaduto, perché Massimiliano Tacchella è morto a 49 anni nella maniera più impensabile, in conseguenza di uno scontro sugli sci.
Tacchella, originario di Genova, viveva a Savona e lavorava per un’azienda di consulenze immobiliari. Una carriera molto bene avviata e una famiglia che amava. Amava anche lo sci, infatti era un habitué delle piste del comprensorio monregalese. La sera dell’8 febbraio 2019, un venerdì, c’era andato insieme al fratello: imperdibile l’occasione di concedersi una sciata in notturna. Qui, quasi al fondo della pista numero 1, il suo destino si è incrociato con quello di un ventenne di Carmagnola, M.A., operaio in un’azienda di Ceresole d’Alba. Anche lui era lì soltanto per divertirsi, con un gruppo di amici e colleghi, senza nemmeno immaginare che quella serata gli avrebbe cambiato la vita.
Lo scontro avviene alla confluenza tra lo snow park, il tracciato dedicato alle evoluzioni sulla neve, e la pista 1 dalla quale stanno scendendo i due sciatori liguri. Impossibile evitare l’impatto, apparso subito molto violento. Tacchella dopo lo scontro rimane a terra, con il respiro affannoso, ma è cosciente: parla con il fratello che sopraggiunge pochi istanti dopo e con i soccorritori, ai quali dice di non sapere come sia finito lì. Quando lo portano al Pronto soccorso dell’ospedale di Mondovì ha già perso circa due litri di sangue e gli trovano varie lesioni interne. Lo operano e lo curano con eparina e antibiotici, perché c’è un focolaio di broncopolmonite da tenere sotto controllo. Nei giorni successivi le sue condizioni sembrano migliorare poco per volta, tanto che per il 14 i medici programmano le sue dimissioni dall’ospedale. Ma quando la moglie arriva a Mondovì non c’è più niente da fare: una tromboembolia non gli lascia scampo.
La tragedia che sconvolge una famiglia è il punto di passaggio dalle sale dell’ospedale alle aule del tribunale. Sulle spalle di un ragazzo di vent’anni, senza altri problemi con la giustizia, pesa ora un’accusa di omicidio colposo. Attraverso le testimonianze dei soccorritori, dei carabinieri intervenuti, di chi era presente quella sera, si è tentato di ricostruire da tutti i punti di vista un dramma che, a prescindere dalle sentenze, rimane impossibile da accettare. Con il dubbio, espresso dal fratello della vittima, che quella rampa tra le due piste non ci dovesse essere: “Era pericolosa, l’ho fatto presente anche ai carabinieri. Tempo dopo infatti un mio collega mi ha mandato alcune fotografie da Prato Nevoso e ho visto che quel salto era stato eliminato”. Nessuna contestazione è stata comunque mossa dalla Procura ai gestori dell’impianto, né ai sanitari del 118 che soccorsero Tacchella.
A carico di M.A. il procuratore capo Onelio Dodero ha chiesto una condanna a nove mesi di reclusione: “Lui stesso ci dice che i suoi sci si sono incastrati sotto le code di quelli di Tacchella”. Una prova inconfutabile, per l’accusa, del fatto che il giovane non sia stato abbastanza prudente nell’immettersi da una pista secondaria. Anche per gli avvocati dei familiari di Tacchella, Lorenzo Macciò e Massimo Badella, l’incidente si poteva evitare: “Invece di confluire nel tratto più largo della pista, l’imputato ha scelto quello stretto dove aveva meno spazio. Se si fosse spostato non avrebbe nemmeno incrociato l’altro”. Sbagliato affermare che Tacchella avesse la precedenza perché proveniva dalla pista principale, la replica dell’avvocato difensore Pier Mario Morra: “È lo sciatore a monte che deve mantenere la direzione in modo da evitare collisioni con chi è a valle. Non c’è dubbio che la vittima si trovasse a monte”. In ogni caso, ha aggiunto, “sul punto d’urto non c’era nemmeno un incrocio, gli sciatori erano tutti sulla stessa pista a cinquanta metri dalla fine”.
Per il giudice Marco Toscano una responsabilità da parte dell’altro sciatore c’è comunque stata. Per questo M.A. è stato condannato a quattro mesi con pena sospesa, più un risarcimento da quantificare in sede civile. A titolo di provvisionale, spettano 500mila euro alla moglie e alla figlia e altri 50mila alle restanti parti civili. Quel che più manca, purtroppo, è impossibile da quantificare.