È stato proprio l’incidente sulle piste da sci di Prato Nevoso a provocare la morte del 49enne Massimiliano Tacchella. Ne è convinto il medico legale cui la Procura di Cuneo ha affidato la perizia nell’ambito dell’
inchiesta a carico di un carmagnolese di 22 anni, M.A., ora a processo per omicidio colposo a seguito dello scontro avvenuto l’8 febbraio del 2019 con l’altro sciatore.
M.A., all’epoca appena ventenne, era impegnato in una discesa in notturna nella popolare località sciistica monregalese. Assieme a lui tre amici e colleghi di lavoro, tutti dipendenti di una ditta di Ceresole d’Alba, che hanno testimoniato durante l’udienza scorsa: “M.A. - ha detto uno di loro - mi ha raccontato in seguito che l’altro gli aveva tagliato la strada e che quando l’aveva visto era già troppo tardi. Ha cercato di frenare ma non è riuscito a evitarlo”. I soccorritori che quella sera erano sopraggiunti per primi sul luogo dell’incidente ricordano di aver trovato l’infortunato steso a terra ma ancora lucido e cosciente. Insieme a lui c’era suo fratello, che sciava a qualche decina di metri di distanza: “Per circa cinque minuti non rispondeva, aveva un respiro affannoso, solo dopo ha cominciato a reagire” ha affermato.
Lo scontro tra i due sciatori era avvenuto quasi al fondo del percorso, nell’intersezione tra la pista numero 1 da cui stava scendendo Tacchella e lo snow park attraversato dai quattro ragazzi. Il fratello della vittima punta il dito su un tracciato a suo giudizio mal progettato: “In corrispondenza del punto in cui è avvenuto lo scontro c’era una rampa che collegava le due piste e costituiva un pericolo”. La morte del 49enne ligure, esperto sciatore, sarebbe avvenuta solo dopo un intervento chirurgico e sei giorni di ricovero a Mondovì, in seguito a una tromboembolia sopraggiunta la mattina del 14.
La dottoressa Clara Bioletti, perito della Procura, sostiene che il decesso non sia imputabile agli episodi di desaturazione cui il paziente era stato soggetto nei giorni precedenti: “In ospedale non avrebbero potuto fare nient’altro. La terapia con ossigeno ed eparina era corretta, ma nessun esame avrebbe potuto evidenziare la tromboembolia al momento del ricovero”. All’arrivo in ospedale l’uomo aveva già perso circa due litri di sangue ed evidenziava un trauma cranico e contusioni toraciche: “È stato un evento improvviso, non legato alla perdita di sangue per la rottura della milza o alla desaturazione, ma al rischio tromboembolico conseguente all’intervento che aveva subito la sera stessa”.
Sposato e padre di una figlia, Tacchella era originario di Genova ma viveva a Savona e lavorava per una società di consulenze immobiliari. I suoi familiari si sono costituiti come parti civili nel processo. La prossima udienza, fissata per la prosecuzione dell’istruttoria, è in programma per il 18 gennaio.