Si può ritenere un’azienda responsabile se un suo dipendente svolge un compito di cui nessuno gli aveva chiesto di occuparsi, usando un macchinario che gli era stato proibito di utilizzare? Attorno a questo interrogativo ruotava il processo per un infortunio sul lavoro verificatosi a Mondovì nel settembre 2013, e che solo oggi, venerdì 4 ottobre, è arrivato a sentenza davanti al Tribunale di Cuneo.
L’incidente aveva coinvolto un operaio egiziano che in quel periodo lavorava in un cantiere per il consolidamento dei piloni autostradali della Torino-Savona. Un lavoratore assunto da circa un anno e descritto dai colleghi e dai superiori come fin troppo pieno d’iniziativa. Quel giorno, per accelerare i lavori, aveva pensato di tagliare alcuni cunei di legno utilizzando la sega circolare: mansione che competeva soltanto all’addetto al macchinario, un carpentiere specializzato, e che aveva provocato il grave infortunio con il distacco della falange di un dito della mano.
In seguito a questo episodio erano stati rinviati a giudizio per lesioni personali colpose aggravate e violazioni delle normative sulla sicurezza il caposquadra M.S., il capocantiere A.L. e suo padre P.L., titolare della M.G.A.-Manutenzioni Generali Autostrade srl, l’azienda di Aulla (provincia di Massa Carrara) che svolgeva i lavori. Il caposquadra era stato tra i primi a sopraggiungere e aveva accompagnato il ferito al vicino ospedale di Mondovì, da dove poi era stato trasferito a Torino.
Proprio sulle modalità del soccorso si sono appuntati i principali rilievi mossi dal procuratore aggiunto Gabriella Viglione: “Nessuno disse che si era trattato di un infortunio sul lavoro, per questo in ospedale non partì la denuncia. Tutto questo induce a pensare che la sega circolare non fosse in condizioni regolari e che non fosse la prima volta che un lavoratore del cantiere non competente la utilizzava”. Attorno al macchinario è nato un piccolo giallo, perché il cantiere era già stato smobilitato quando intervenne lo Spresal, l’organismo di vigilanza sulla sicurezza del lavoro. Gli ispettori avevano allora sollecitato la M.G.A. a inviare via mail le fotografie della sega circolare: dalle stesse immagini fornite dall’azienda, secondo gli esperti, si evincerebbe che lo strumento non era in condizioni di perfetta funzionalità.
Per la rappresentante della Procura, sarebbe questo - insieme all’omessa denuncia - “il segno di un’attenzione solo formale verso i problemi della sicurezza” e il fattore determinante nel confermare la responsabilità penale della M.G.A.: “Ci sono centinaia di norme sulla sicurezza e ci rendiamo conto che non sia sempre possibile soddisfarle tutte, ma c’è comunque l’obbligo di provvedere a un adeguato soccorso e a un’adeguata tutela giuridica dopo l’infortunio”.
Di tutt’altro avviso i legali dei tre imputati, i quali hanno rilevato come il dipendente infortunato non solo avesse frequentato i corsi di sicurezza ma fosse stato diffidato più volte dall’utilizzare macchinari a cui non era addetto. Trattandosi di una persona che già da anni era presente in Italia in maniera regolare, inoltre, per le difese sarebbe insussistente l’ipotesi che non avesse compreso le istruzioni.
Conclusa l’istruttoria, il giudice Sandro Cavallo ha ritenuto responsabili solo il caposquadra M.S. e il capocantiere A.L., condannati entrambi a due mesi, e assolto invece il titolare dell’impresa.