MONDOVÌ - Perseguitò l’operatrice che lo aiutava: condannato un rifugiato

Il sudanese, titolare di un permesso di protezione internazionale, era stato accolto a Mondovì. Dopo la denuncia per stalking è finito a processo

Andrea Cascioli 20/07/2024 15:30

Diceva di volere una figlia dall’operatrice che lo seguiva come richiedente asilo in Italia, tempestandola di chiamate e seguendola in ufficio e altrove: una notte, ha raccontato lei, le telefonate furono 1.487. Inutile cambiare numero di telefono o bloccare l’utenza: quell’uomo si era procurato il nuovo recapito e la chiamava anche con numeri sconosciuti, chiedendo aiuto a passanti incontrati per strada.
 
“Diceva che era intenzionato a sposarmi e nel caso avrebbe lasciato sua moglie” ha riferito al giudice la giovane dipendente del consorzio La Valdocco di Mondovì: “Per due anni - ha precisato - il nostro è stato un rapporto normale, sebbene lui avesse problemi di convivenza con gli altri ospiti”. A.E., cittadino sudanese, era titolare di un permesso di protezione internazionale e svolgeva un tirocinio presso un bar cittadino. Si era integrato bene, confermano altri operatori del consorzio: “Ero stata colpita - ha ricordato una di loro - dal fatto che leggesse le Fiabe di Mandela, conosceva la situazione del suo Paese. Era una persona cosciente del suo stato di rifugiato, cosa che in altre persone ho colto poco”.
 
Poi, però, era maturata quella malsana ossessione nei confronti della sua “tutor”, la ragazza che lo aveva seguito nel percorso all’interno del progetto Siproimi. “Lui la aspettava per le scale e lei era visibilmente spaventata e piangeva” ha testimoniato la coordinatrice del progetto. Nessun atteggiamento violento, ma in due episodi il rifugiato aveva palpeggiato la donna per le scale. Già prima che si arrivasse alla denuncia, il consorzio Valdocco aveva fornito alla ragazza un tracker per inoltrare una chiamata automatica, qualora si fosse sentita minacciata: “Mi sento ancora in pericolo” ha ammesso la persona offesa nella sua audizione. Lei non si è costituita come parte civile nel processo e insieme ai colleghi ha anche tentato, per quanto possibile, di farlo “rinsavire”: “Abbiamo cercato di farlo incontrare con uno psichiatra perché venisse valutato un ricovero, ma ha rifiutato”.
 
Dopo la denuncia è arrivato il divieto di avvicinamento, violato, poi la misura più pesante del divieto di dimora in tutta la provincia di Cuneo. Per l’imputato il pm Alessia Rosati aveva chiesto una condanna a due anni di carcere. Il giudice Elisabetta Meinardi ha comminato la pena di un anno e dieci mesi, riservandosi di decidere sull’eventuale prolungamento della misura cautelare.

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