È un processo particolare quello che si sta celebrando a Cuneo a carico dei gestori del Parco Safari delle Langhe. Riguarda il seppellimento di un dromedario, un canguro wallaby, un lama e uno struzzo entro il perimetro della struttura, attiva dal 1976 a Murazzano.
Occorre premettere che la Procura non ipotizza maltrattamenti nei confronti degli animali, circa 350, ospitati nei 70 ettari del giardino zoologico (uno dei più grandi in Italia). Si contestano invece a vario titolo i reati di falsità in registri e notificazioni, falso ideologico e violazione del decreto legislativo 231/2001 sui reati ambientali. A risponderne sono chiamati tre imputati: il direttore del parco T.F., il veterinario C.A. e il responsabile amministrativo della Safari srl Y.Z., con la società a sua volta chiamata in giudizio.
Tutto nasce da un sopralluogo dell’ottobre 2020 effettuato dai Carabinieri Forestali. Un controllo di routine per verificare i registri e gli animali presenti, dal quale però era emersa un’anomalia. Nei terreni circostanti il parco i militari avevano notato la presenza di terra smossa: alla richiesta di chiarimenti, il direttore del Parco Safari aveva ammesso che alcune carcasse di animali morti erano state smaltite in una fossa. L’intervento di un escavatore, richiesto dai Forestali, aveva permesso di accertare la presenza delle quattro carcasse a una profondità di circa un metro e mezzo. Negli uffici era stata sequestrata una cartellina con il registro dei decessi avvenuti e un certificato “modello 4” per il trasporto di animali vivi.
A destare i sospetti delle forze dell’ordine è stata in particolare la situazione del dromedario, uno dei quattro esemplari ritrovati nella fossa. La carcassa, identificata tramite il microchip, risultava essere stata ceduta a un altro parco situato nel comune di Samolaco (Sondrio): il modulo di trasporto era datato 10 agosto. A circa un mese di distanza dal sopralluogo, al Nucleo Investigativo dei Forestali di Cuneo era giunta la chiamata del veterinario dell’Asl che riferiva di aver ricevuto per mail i certificati di morte degli animali rinvenuti. Questi certificati, tutti datati ai primi di agosto, non erano stati ritrovati al momento del controllo. L’Arma aveva quindi eseguito perquisizioni presso lo studio e l’abitazione del veterinario di fiducia del Parco Safari, rinvenendo altra documentazione.
Per motivi sanitari, ha spiegato il forestale chiamato a testimoniare, quando un animale muore in uno zoo lo smaltimento deve avvenire secondo una certa procedura. L’interramento può essere effettuato per gli animali domestici o in altura previa autorizzazione del sindaco, ma un’amministrazione comunale non può in ogni caso autorizzarne la sepoltura entro i confini di un parco. L’escavatorista che aveva compiuto il lavoro ha confermato di averlo eseguito per conto della direzione: “Avevano detto che c’erano animali morti da sotterrare, mi pare si fosse rotto un frigo. Quella sarebbe dovuta essere una sistemazione provvisoria”. Chiamata a testimoniare dalla difesa di C.A., una collega di studio del veterinario ha sostenuto che i documenti da lui inviati al Parco Safari non sarebbero stati veri e propri certificati: “Le certificazioni di morte e smaltimento di animali non competono al veterinario libero professionista”.
Il processo è aggiornato al 19 gennaio per il completamento dell’istruttoria.