Quattro mesi di reclusione, con pena sospesa, per il danneggiamento delle porte tagliafuoco in un condominio del quartiere Ferrone a Mondovì. È la pena comminata dal giudice Lorenzo Labate a R.B., denunciata dai vicini di casa esasperati anche per disturbo della quiete pubblica.
Per quest’ultimo reato il tribunale ha pronunciato una sentenza di assoluzione, così come per l’altra ipotesi di danneggiamento che le era contestata: aveva buttato più volte il sale sulle scale del palazzo, a detta dei condomini, perché voleva “esorcizzare” gli altri residenti dello stabile. “Sosteneva che fossimo tutti indemoniati” ha ricordato un ex vicino, parlando di comportamenti protrattisi per anni: “All’inizio non si comportava così, era una persona normale. A un certo punto è cambiata e da lì un’escalation di grida, porte sbattute e spargimento di sale”. “È un continuo sbattere le porte, buttare acqua sulle scale, ascoltare musica religiosa anche in orari non consoni” ha confermato un altro testimone.
Lo sbattimento delle porte comuni, tra l’androne e i garage, è ciò che le è costato la condanna ed era tra i comportamenti lamentati più spesso: “Se qualcuno passava la teneva aperta e la sbatteva con forza subito dopo, per incutere paura. Lo faceva soprattutto quando mia moglie tornava da lavoro” ricorda uno degli abitanti “fuggiti” da quello stabile. “In un’occasione mi sono scansato in tempo mentre sbatteva la porta, ho rischiato di essere colpito al naso” ha riferito un altro testimone. La donna avrebbe addirittura scardinato la porta a forza di sbatterla, raccontano i vicini: “Una volta - ha detto un’inquilina - è scesa apposta, una decina di minuti dopo l’intervento dei tecnici che avevano riparato le porte”.
A provocare queste azioni di disturbo, segnalate ai due amministratori di condominio succedutisi negli anni, sarebbe stata la scarsa tolleranza di R.B. per i rumori anche lievi: “A volte usciva dalla finestra e urlava invitando ciascuno di noi ad andarcene, ci chiamava per nome: ce l’aveva soprattutto con i bambini e con i cani”. Una signora aggiunge: “Quando passeggiavamo con la bambina era solita urlare dal balcone, accadeva con chiunque passasse di lì. Le davano fastidio le persone che parlavano, anche con tono normale. D’estate succedeva più spesso perché lei teneva la finestra aperta”. A seguito di questi dissidi, riferisce un uomo che si è costituito parte civile nel processo, le forze dell’ordine sarebbero intervenute una quindicina di volte nell’arco di due o tre anni, su richiesta di più persone diverse.
Un condomino originario di Chiusa Pesio racconta di essere stato insultato per la sua provenienza: “Mi diceva ‘sei un montagnino, ritornatene a Chiusa Pesio’, a volte mi chiamava ‘soma’ (asino in piemontese, ndr). A mio figlio più grande dava dello stupido se rideva vedendo queste scene, non erano grossi insulti”. In un’altra occasione la donna si sarebbe rivolta alla madre di una delle residenti del palazzo insultando la figlia e la nipotina, con epiteti come “handicappata” e “mongoloide”. In aula sono state ascoltate alcune registrazioni audio nelle quali una voce femminile, riconosciuta come quella di R.B., grida all’indirizzo dei passanti. Tutti comunque hanno concordato nel sostenere che gli episodi non si verificassero in orario notturno, fatto che probabilmente è stato giudicato dirimente per la pronuncia di assoluzione rispetto al secondo capo d’imputazione.
Inutili, in ogni caso, tutti i tentativi di riportare la quiete nel palazzo: “All’inizio - ha sottolineato una vicina - abbiamo provato a parlare col padre e la madre, ma è impossibile. Le due famiglie che abitavano sotto di loro, correttissime, sono andate via proprio perché i bambini erano terrorizzati e avevano timore che succedesse qualcosa”. Secondo una delle parti civili, nell’arco di due o tre anni le forze dell’ordine sarebbero accorse almeno una quindicina di volte.