Non era topicida o veleno di qualche tipo, come si era sospettato in un primo tempo, la sostanza ritrovata nel cibo che una signora di San Michele Mondovì aveva lasciato a pochi passi dalla sua abitazione. Era clotiapina, cioè il principio attivo di un farmaco venduto con il nome commerciale di Entumin. Un antipsicotico, utilizzabile, in dosi minime, come calmante.
Questo era appunto lo scopo che si prefiggeva la donna, ex titolare di una pensione per cani, quando aveva sistemato a bordo strada quel foglio di plastica con sopra una pappetta per animali. “Da due giorni vedevo girare un gattino intorno a casa, era sempre in mezzo alla strada” ha spiegato in tribunale a Cuneo: “Era un affarino piccolo così e io non riuscivo a prenderlo, passavano le auto ed era preoccupata. Per questo ho messo le gocce nella pappetta, poi sono riuscita a buttargli addosso un asciugamano e a prenderlo”. Un intervento “a fin di bene”, insomma, che comunque non le ha evitato la denuncia e un processo con l’accusa di maltrattamento di animali.
“Possiedo un cane ed ero preoccupata” ha detto, in veste di testimone, la vicina di casa che quel giorno di aprile di due anni fa la vide aggirarsi “con qualcosa in mano”. Si trattava appunto dell’“esca”, segnalata ai carabinieri forestali di Mondovì per gli opportuni controlli. Dopo il responso dell’istituto zooprofilattico di Cuneo, l’indagine era andata avanti: “È stato appurato tramite il veterinario che, se somministrato da persone inesperte con dosaggi inappropriati, il farmaco può provocare controindicazioni, soprattutto se l’animale ha altre patologie” ha riferito in aula il maresciallo Stefano Ambrosio.
Un’interpretazione, questa, che ha trovato l’adesione del pubblico ministero Alessandro Borgotallo, per nulla convinto che lo scopo del sonnifero fosse quello dichiarato: “Dov’è la prova che quell’esca fosse per gatto e non per un cane? Secondo la vicina quella era una scatoletta di cibo per cani e forse erano altri i destinatari di quel boccone”. L’avvocato Alberto Bovetti, difensore dell’imputata, ha obiettato a conclusioni: “Se davvero avesse voluto uccidere quel gattino, non sarebbe neanche stato necessario mettere il boccone: bastava lasciarlo aggirarsi libero lungo la strada. E poi che senso avrebbe avuto prenderlo, rischiando di ucciderlo, per poi curarlo e accudirlo fino a darlo in affido a degli amici?”.
Convinta che il destinatario dei bocconcini fosse proprio il micio - e che il dosaggio non gli abbia nuociuto -, il giudice Elisabetta Meinardi ha assolto l’imputata perché il fatto non sussiste. La storia, lo diciamo agli amanti degli animali, è a lieto fine: il gatto è stato affidato a un amico della signora, venuto in aula a sua volta per testimoniare che è tuttora in salute e felice della sua nuova vita in casa.