MONTALDO DI MONDOVÌ - Un anno fa il massacro di Montaldo Mondovì. Il responsabile ora attende l’estradizione

Il 21enne olandese Sacha Chang uccise a coltellate il padre e l’amico di famiglia Bert Ter Horst, prima di darsi a una drammatica fuga nei boschi della val Corsaglia

in foto: Sacha Chang con il padre Chain Fa nel 2014

Andrea Cascioli 16/08/2024 17:55

Era il 16 agosto del 2023 quando si diffuse la notizia di una tragedia che avrebbe lasciato attonito l’intero paese di Montaldo Mondovì, cinquecento anime all’imbocco della val Corsaglia.
 
Nel pomeriggio il ritrovamento di due uomini accoltellati in un’abitazione: il padrone di casa Lambertus Ter Horst, classe 1963, un medico olandese che da alcuni anni trascorreva le sue vacanze a Montaldo, e Chain Fa Chang, suo amico e connazionale di origine cinese, di cinque anni più vecchio. Già colpito a morte alla schiena, il povero Ter Horst aveva fatto in tempo a fuggire in strada e gridare: “Oh My God, un’ambulanza”. Poche parole prima di cadere a terra e venire soccorso dai vicini, poi trasportato d’urgenza in elicottero a Torino, dove sarebbe morto alcune ore dopo.
 
L’aggressore, nel frattempo, si era dato alla fuga nei boschi circostanti. Il giovane Sacha Chang, nato nel 2002, era in vacanza con il padre Chain Fa: la mamma, Marylke, era rimasta ad Amsterdam con l’altro figlio. Anche Sacha era già stato a Montaldo, a volte solo, a volte con la famiglia. Soffriva di problemi psichici, avrebbe confermato il padre, parlando di un esaurimento nervoso. In un’occasione i vicini lo avrebbero visto rimanere in auto mentre il papà scendeva a salutare, un’altra volta si era rinchiuso in camera durante un pranzo tra amici. Atteggiamenti inconsueti, certo, ma niente che lasciasse presagire quell’esplosione di violenza, scatenatasi all’improvviso dopo una lite tra padre e figlio in cucina. Sacha aveva colpito prima il genitore, con ventisei coltellate, poi l’amico di famiglia intervenuto per soccorrerlo.
 
Il dottor Bert era una persona buona e generosa, benvoluta da tutti nel paese: “Aveva acquistato la casa quattro anni fa e stava realizzando una piscina. Voleva aprirla a chiunque volesse, in paese” avrebbe ricordato il sindaco Giovanni Balbo. Anche Chain Fa Chang era stimato nella sua comunità: maestro elementare e allenatore di calcio, aveva iniziato da poco a lavorare presso una nuova scuola del quartiere Schinkelkwartier. Tutti lo chiamavano con affetto “maestro Fa”: “Aiutare i bambini a crescere: ecco cosa rende grande la mia professione!” diceva sul sito web della scuola. Sacha, come suo fratello, aveva giocato a calcio nel TOS Actief, il club dove allenava il papà. Da bambino suonava il sassofono: un’infanzia tranquilla, in una famiglia che lo amava e che aveva cercato sempre di aiutarlo.
 
La sua fuga, dopo il duplice omicidio, aveva gettato nel panico l’intera valle. Per due notti e due giorni i carabinieri lo avrebbero cercato battendo palmo a palmo i boschi tra Montaldo, Roburent, Monastero Vasco, San Giacomo e Vicoforte, con elicotteri e cani molecolari. In strada solo le volanti e qualche cacciatore esperto sui sentieri della zona, i villeggianti e i residenti asserragliati in casa per timore di incrociare il fuggitivo. Nella mattina del 18 agosto era stato infine avvistato fra Torre Mondovì e Pamparato, completamente nudo, nei pressi di una cappella dove aveva trascorso l’ultima notte di libertà. Ai militari non aveva opposto nessuna resistenza: “Nelle condizioni in cui lo abbiamo trovato, in una zona con cinghiali e lupi, il ragazzo non avrebbe potuto sopravvivere a lungo” aveva commentato il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Giuseppe Carubia, elogiato insieme ai suoi uomini per la prontezza dell’azione.
 
Sacha Chang è stato rinchiuso nel carcere delle Vallette di Torino fino allo scorso aprile, quando si è riusciti a trovare per un lui un posto a Bra: si trova in una Rems, ovvero una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, quelli che un tempo venivano chiamati ospedali psichiatrici giudiziari e prima ancora manicomi criminali. La perizia disposta dal gip ha appurato che era del tutto incapace di intendere e di volere al momento della mattanza. Dovrà restare lì finché non verrà dichiarato non più “socialmente pericoloso”. La mamma, che nonostante il dolore per la perdita subita non ha mai smesso di essergli accanto, vorrebbe riportarlo in patria: a questo obiettivo sta lavorando la difesa, con l’avvocato Luca Borsarelli, ma si tratta di una meta ancora lontana. Serve una richiesta di estradizione dai Paesi Bassi una volta definito il processo, poi un parere favorevole della Corte d’Appello di Torino e una decisione del ministero della giustizia italiano.

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