Quel 14 febbraio del 2019 avrebbe dovuto essere dimesso dall’ospedale di Mondovì per tornare a casa. Invece una tromboembolia lo ha stroncato a soli 49 anni di età: una morte assurda quella di Massimiliano Tacchella, a sei giorni di distanza dal
ricovero per un incidente sugli sci.
Ora è chiamato a rispondere di omicidio colposo il giovanissimo sciatore con cui il savonese Tacchella, sposato e padre di una figlia sedicenne, si era scontrato quella notte a Prato Nevoso. Si tratta di M.A., un ragazzo di Carmagnola che all’epoca aveva appena vent’anni e che si era recato nella popolare località sciistica monregalese insieme a tre amici, come lui operai dipendenti di un’azienda di Ceresole d’Alba. Tacchella, esperto sciatore e habitué delle piste di Prato Nevoso, era lì con suo fratello. L’urto era avvenuto nel punto in cui la pista numero 1 si congiunge con lo snow park, il tracciato dedicato alle evoluzioni sulla neve. Da qui proveniva M.A., scontratosi con Tacchella mentre si immetteva sull’altra pista.
Per il comandante della stazione carabinieri di Frabosa Soprana, il maresciallo Andrea Siri, la traiettoria effettiva dei due sciatori non è la questione dirimente. “Tacchella aveva comunque la precedenza sull’altro, perché proveniva da destra e perché chi si immette su una pista diversa deve in ogni caso concedere la precedenza” ha osservato il militare, i cui accertamenti però si sono limitati a una ricostruzione ipotetica del sinistro. Il maresciallo ha escluso che all’intersezione tra le due piste fosse stata collocata una rampa, la cui presenza avrebbe accentuato la velocità di M.A.: la conformazione della pista è stata criticata dal fratello della vittima, sopraggiunto pochi secondi dopo l’incidente, perché a suo dire la presenza di un salto nel punto finale dello snow park avrebbe costituito un pericolo.
Un altro punto dibattuto nel processo è la presunta ammissione di colpa che il giovane carmagnolese avrebbe fatto in presenza dell’altro sciatore. La circostanza è stata confermata dalla moglie di Tacchella, la quale ha sostenuto di averne sentito parlare da suo marito e di averne a sua volta riferito a un collega. Quest’ultimo, tuttavia, non ricordava nulla a riguardo. L’imputato ha risposto da par suo di non essere in grado di ricostruire quanto affermato nell’imminenza dei fatti: “Non ricordo nessuna delle parole dette, sul momento ero solo preoccupato per l’altra persona”.
Il 22enne si è detto addolorato dall’accaduto, offrendo alla famiglia del savonese le sue condoglianze. Ha precisato di ritenersi anch’egli uno sciatore abile e di aver fatto quanto era possibile per evitare l’impatto: “All’incrocio tra le due piste ho rallentato, ma non ho visto arrivare l’altro sciatore che mi ha tagliato la strada. Con i miei sci mi sono infilato sotto le code dei suoi, ribaltandomi in avanti”. Sinceratosi delle condizioni di Tacchella, M.A. era andato ad avvisare i soccorsi e aveva poi fornito le sue generalità in infermeria: “Prima di immettermi avevo guardato a destra, ma non avrei potuto vedere qualcuno alle mie spalle. Sulle piste da sci è buona norma che chi sopraggiunge si preoccupi di questo”. L’imputato ha aggiunto inoltre di non ricordare la presenza di un salto subito prima del punto d’urto.
Il prossimo 8 febbraio saranno passati esattamente tre anni dalla sera dell’incidente. In quel giorno è prevista un’ulteriore udienza per le ultime produzioni documentali, prima della discussione finale.