“Era un regalo di nozze” sostenevano gli imputati. “Un prestito da 5mila euro mai restituito” ha obiettato la firmataria del bonifico, che alla fine li ha denunciati e si è costituita parte civile nel processo per truffa.
Così sono finiti a giudizio gli ex coniugi C.P., nato nel 1974 a Torino, e I.B., nata nel 1972 e originaria di San Severo (Fg), entrambi residenti a Verzuolo all’epoca dei fatti e titolari di un negozio di materassi. La donna che li ha querelati era una cliente ma anche un’amica personale della coppia, con cui aveva instaurato un rapporto di familiarità fino a diventarne testimone di nozze nel 2018.
In quello stesso anno, a distanza di pochi mesi, era scoppiato il ‘pasticcio’. All’inizio di marzo la signora, accompagnata da C.P., aveva emesso un bonifico bancario da 5mila euro su un conto societario riconducibile a I.B.: tre mesi dopo, ha raccontato al giudice, lo stesso C.P. avrebbe firmato un assegno in suo favore alla presenza della moglie, per saldare il debito pregresso. L’assegno però risultava emesso dal conto di una precedente società di C.P., ormai estinta, ed era perciò impossibile da incassare. Per questo i due imputati ne avrebbero preteso la successiva restituzione, malgrado le rimostranze dell’amica: “Ho proposto che me li restituissero a rate di 500 euro mensili ma I.B. mi ha risposto che non potevano”.
Ad avvalorare la testimonianza della parte offesa ha contribuito la deposizione di un collaboratore del negozio, cui sarebbe chiesto di mediare per ottenere la indietro l’assegno: “C.P. mi aveva chiamato al telefono per domandarmi di trovare una soluzione. Mi aveva detto che sapeva di aver fatto una stupidaggine. Io ero riuscito a convincere la signora a non incassarlo e a restituirlo a I.B., pur di malavoglia”. La questione, però, sarebbe stata fonte di attriti tra le due donne anche in seguito: “In dicembre, quando avevamo ormai chiuso il negozio di Verzuolo e aperto una nuova attività a Borgo San Dalmazzo, le ho sentite litigare al telefono per questo”.
Di tutt’altro genere la ricostruzione offerta dagli imputati. Entrambi hanno negato l’esistenza dell’assegno e soprattutto hanno smentito che il bonifico certificasse un prestito: “I 5mila euro erano un regalo di nozze per il nostro matrimonio, di cui la nostra amica era stata testimone in gennaio” ha spiegato C.P., ricordando il rapporto “quasi filiale” che lo legava alla donna e il fatto che lei avesse ricevuto a sua volta costosi doni da parte loro. Sul perché avesse optato per un bonifico su un conto societario, l’uomo ha risposto: “In quel periodo non avevo un conto personale e non potevo chiederle di indicare nella causale che si trattava di un regalo. Quando uno dei figli ha scoperto la cosa, lei ha negato e inventato la storia del prestito”. Circa la questione del presunto assegno, l’imputato ha affermato “sapevo che non avrei potuto emettere alcun assegno da quel conto e non l’ho fatto”. “Mai visto quell’assegno” ha confermato da parte sua la ex moglie, sostenendo inoltre che la dazione di denaro non fosse stata presentata come un prestito ma come un regalo.
Per entrambi il pubblico ministero Alessandro Bombardiere ha chiesto la condanna a otto mesi di carcere, ritenendo che la causale indicata nel bonifico e la testimonianza del collaboratore del negozio avvalorassero la tesi del prestito. Per la parte civile l’avvocato Luca Roatis ha chiesto 7mila euro di danni. Le difese, rappresentate da Pier Carlo Botto per I.B. e da Michele Toma per C.P., hanno affermato che mancassero gli elementi della truffa: “C'era al massimo un prestito non restituito”.
Il giudice Alice Di Maio ha condannato entrambi gli imputati a nove mesi di reclusione e al pagamento di 7mila euro di danni in favore della parte offesa.