Quasi ogni giorno in tribunale i magistrati si trovano a giudicare le intemperanze di qualche detenuto: minacce, danneggiamenti in cella, nei casi più gravi aggressioni fisiche. Si tratta sovente di episodi di poco conto, soprattutto quando non si va oltre alle parole, ancorché censurabili.
In questo caso, però, le parole avevano tutt’altro significato, visto lo spessore criminale di chi le ha pronunciate. A giudizio per le minacce nei confronti di due agenti di Polizia Penitenziaria di Saluzzo è finito infatti Pasquale Giuseppe Varca, uno dei capi della ‘ndrangheta lombarda. Classe 1963, originario di Isola Capo Rizzuto nel Crotonese, Varca è in carcere dal 2010 e deve scontare una condanna a quindici anni per associazione mafiosa. Si ritiene che fosse a capo della “locale” di Erba, colpita da una maxi operazione che tredici anni fa aveva portato a una serie di arresti per illeciti nel settore del movimento terra, traffico di droga, usura, ricettazione di mezzi d’opera e traffico di banconote false.
L’episodio per cui è finito di nuovo, da detenuto, sotto l’occhio di un giudice risale al giugno di due anni fa. Durante un colloquio da remoto con i familiari si era indispettito per i richiami al rispetto delle regole da parte degli agenti, pronunciando frasi come “con queste due dita ti cavo gli occhi” e “vi faccio vedere io quello che riesco a fare, mi basta fare una chiamata fuori e scompari”. Sempre in sala colloqui aveva poi rincarato la dose, aggiungendo “faccio quello che voglio, non contate un c… a Saluzzo”.
Le intemperanze gli sono costate un nuovo procedimento, terminato con una richiesta di patteggiamento accettata dalla Procura e con la condanna a ulteriori quattro mesi di carcere.