“Momo” è Moumouni Tassembedo, un 33enne del Burkina Faso arrivato in Italia nel 2007 e da dieci anni residente nel Saluzzese, dove secondo le accuse avrebbe gestito tutto ciò che riguardava le assunzioni e le condizioni di lavoro di numerosi extracomunitari per conto di due aziende agricole di Lagnasco e Barge. Anche i titolari delle due ditte, Diego Gastaldi con il padre Graziano e la madre Marilena Bongiasca e Andrea Depetris con la madre Agnese Peiretti e Monica Coalova, sono chiamati a rispondere dello stesso reato. La Procura ritiene che almeno 19 braccianti sarebbero stati impiegati con una paga oraria inferiore ai 5 euro: due di loro si sono costituiti parti civili e uno è stato ascoltato come teste nell’ultima udienza.
L’uomo, connazionale di Tassembedo, ha raccontato di essere arrivato a Saluzzo nel 2013, alloggiando al Foro Boario. A trovargli un impiego presso l’azienda dei Gastaldi era stato proprio Momo e anche negli anni successivi avrebbe continuato a fare da intermediario per lui: “Non ho mai parlato da solo con i datori di lavoro” ha ammesso il teste. Il “soprastante” alloggiava i lavoratori, quattro per stanza, in un’abitazione di Lagnasco dove lui stesso aveva vissuto per un periodo in una camera separata. Era lui a decidere le paghe, prima 5 e poi 5,50 euro all’ora, sempre però tenendo conto che - a quanto dichiara l’autore della denuncia - “trattenute” e richieste di denaro per le ragioni più disparate erano all’ordine del giorno: “Ogni mese c’erano trattenute, non sapevo mai quale fosse lo stipendio. Le ore in busta paga non coincidevano con quelle effettive perché una parte era pagata in contanti. Una volta ricevetti 1214 euro e mi dissero che dovevo restituirne 630 in contanti alla segretaria, perché c’era stato un errore”.
Anche sugli orari la flessibilità sarebbe stata molto ampia: le otto ore giornaliere diventavano a volte nove o dieci, raramente undici. Nelle settimane più intense poteva saltare anche il giorno di riposo alla domenica. Oltre a questo, Momo avrebbe preteso frequenti pagamenti e regali che i braccianti si prestavano a garantire per quieto vivere o per assicurarsi il rinnovo: “A fine mese tutti facevano un regalo a Momo, alcol o altro: lui non lo chiedeva esplicitamente ma chi non lo faceva non sarebbe stato trattato nello stesso modo”. Si pagava inoltre per avere un allungamento del contratto, o per un certificato di residenza: “Quando gli chiesi di farmi avere un contratto da un anno per rinnovare il permesso di soggiorno mi rispose che avrei dovuto pagare 304 euro di tasse. Disse che lui aveva già pagato i capi e io dovevo rimborsarlo”. In un’altra occasione Momo avrebbe radunato vari lavoratori “di lungo corso” chiedendo a ciascuno di loro un contributo di 20 euro al mese: “Non so quale fosse la ragione, tutti avevano paura di Momo perché avrebbe potuto farli licenziare. Disse che si trattava di un rimborso per le sue spese di benzina e cellulare e che a noi chiedeva di meno perché eravamo i vecchi dell’azienda, mentre i nuovi assunti avrebbero dovuto versare 50 euro al mese: sapevamo che non era vero, ma non potevamo farci niente”.
L’ex bracciante ha detto di non aver mai lavorato nell’altra azienda “gestita” da Tassembedo a Barge, un allevamento di pollame dove secondo le indagini alcuni stagionali venivano mandati a fare il turno di notte subito dopo aver passato l’intera giornata a raccogliere frutta. Sa però che alcuni occupanti dell’abitazione di Lagnasco venivano chiamati a farlo: il giudice ascolterà le loro dichiarazioni nelle prossime udienze, a partire dal 15 giugno, anche se molti dei ventiquattro testimoni convocati dal pubblico ministero sarebbero oggi irreperibili.