Pedinamenti in auto, insulti urlati in pubblico, telefonate di minaccia anche nel cuore della notte e sul posto di lavoro. Ma perché? Alla domanda, finora, nemmeno le presunte vittime di questa persecuzione che andrebbe avanti ormai da quindici anni hanno saputo dare risposta.
Di certo c’è solo che P.D., residente a Verzuolo, è chiamata ora a rispondere dei reati di molestia, ingiuria e minaccia ai danni di un uomo di 38 anni originario di Saluzzo e di sua moglie. La coppia oggi risiede a Manta e in passato si è stabilita per alcuni anni ad Acceglio, in valle Maira. Ovunque, stando a quanto hanno testimoniato, inseguiti dagli insulti e dalle minacce della donna: “Mi seguiva sul posto di lavoro e citofonava chiedendo di me, se passeggiavo per Saluzzo la vedevo passare in macchina e inchiodarmi di fronte, non potevo nemmeno più uscire in bici per paura di essere raggiunto da lei in auto e molestato. Dovunque andassi erano insulti pesanti e minacce di morte” ha raccontato l’uomo. Se non si vedevano di persona, c’era il telefono: “Arrivavano decine di chiamate e messaggi di minaccia al giorno, al punto che ho dovuto cambiare numero. Quando ho gestito un ristorante il telefono non smetteva di suonare, non riuscivo nemmeno a rispondere alle prenotazioni”.
L’aspetto più singolare della vicenda è che l’autore della querela, costituitosi come parte civile insieme alla moglie, afferma di non sapere nemmeno cosa volesse questa persona da lui: “Ripeteva in continuazione ‘ti devo parlare, ti devo parlare’, ma quando le chiedevo spiegazioni non rispondeva”. Negli anni l’uomo ha ipotizzato che all’origine di tanto accanimento potesse esserci un interesse sentimentale: “L’avevo conosciuta in una discoteca di Saluzzo intorno al 2005 e le avevo dato il mio numero. Non abbiamo mai avuto una relazione, ma da quel giorno non ha smesso di cercarmi: ancora un mese fa mi ha inseguito urlandomi contro”.
Anche la moglie del 38enne, una mantese di 41 anni, sostiene di aver fatto le spese di questa ossessione dai contorni oscuri fin da quando i due erano solo fidanzati: “Appena una ventina di giorni dopo che l’ho conosciuto, nel 2014, P.D. era riuscita ad avere il mio numero di telefono e ha iniziato a tempestarmi di telefonate e messaggi anche a notte inoltrata. C’è stata una progressiva escalation fino a fine giugno 2015, quando ho presentato la prima denuncia”. In un’occasione, l’imputata sarebbe perfino venuta a casa di lei prendendo a calci e pugni la porta e urlando offese: “Anche dopo aver bloccato il suo numero ho continuato a ricevere chiamate di minaccia anonime o da altri cellulari. Perfino al nostro matrimonio hanno presenziato i carabinieri perché lei prometteva di ‘fare un macello’”. Sul possibile movente sentimentale anche la 41enne ha fornito conferme: “Una delle prime volte mi aveva accusato di averle ‘portato via il fidanzato’, ma non ho mai avuto conferme né da lui né da altri sul fatto che tra loro potesse esserci stata una frequentazione”.
Il maresciallo Roberto Besante dei carabinieri di Verzuolo, che ha raccolto la denuncia e rintracciato le chiamate, ha testimoniato sull’esito degli accertamenti: “I due numeri indicati in querela corrispondevano al padre di P.D. e a un suo amico. La stessa persona era già stata oggetto di altri interventi, uno di questi richiesto da un verzuolese che denunciava di essere stato vittima di minacce da parte sua perché la donna aveva visto sfumare la possibilità di intrecciare una relazione affettiva”.
Il processo è stato rinviato al 2 marzo 2021 per l’audizione dei testi di pm e parte civile.