Non è bastato l’appello accorato di uno dei due imputati, poco prima che i giudici si ritirassero, a evitargli la condanna per tentata rapina: “So che la mia parola non vale niente per via dei miei trascorsi, ma con quella storia non c’entro. A suo tempo, quando volevo fare una rapina ero sicuro di metterla in pratica”.
Il 62enne E.G., originario di Bricherasio e residente a Luserna San Giovanni in provincia di Torino, è stato condannato a due anni e sei mesi di carcere insieme a L.C.: i due erano a
processo come complici nel tentativo di rapina avvenuto il 5 agosto 2017 all’ufficio postale di Sanfront. Per quell’episodio ha già patteggiato la pena il 57enne torinese S.G., pluripregiudicato. Quest’ultimo, disarmato e con il volto coperto da un passamontagna, aveva cercato di strappare le chiavi all’impiegata postale che doveva aprire quel giorno l’ufficio. La pronta reazione della donna lo aveva però costretto alla fuga. In seguito S.G. si era fatto accompagnare a Saluzzo da un complice, ma appena sceso dall’auto era stato fermato dai carabinieri.
Le sue successive dichiarazioni avevano consentito di identificare in L.C., residente a Sanfront, il presunto autista e ‘basista’ dell’operazione. A fare da tramite tra i due sarebbe stato E.G., anch’egli fornito di un corposo pedigree criminale, che aveva conosciuto S.G. qualche tempo prima. Entrambi avevano da poco finito di scontare una pena carceraria e avrebbero architettato insieme il colpo.
Nell’udienza odierna è stato S.G. a confermare i suoi rapporti con i due presunti complici: “E.G. mi accompagnò a Saluzzo per incontrare il suo conoscente di Sanfront. Insieme quest’ultimo, che non avevo mai visto prima, ho effettuato il sopralluogo davanti alle Poste”. Sulla spartizione del bottino, la testimonianza del rapinatore è stata piuttosto generica: “Si era stabilito solo che avrei avuto un ‘fisso’ di 20mila euro, perché ero io a fare il grosso del lavoro”.
Una “pianificazione del tutto strampalata” secondo l’avvocato Alberto Crosetto, difensore del presunto ‘basista’ di Sanfront: “Curioso supporre che S.G. potesse commettere la rapina con uno sconosciuto, incontrato solo nel corso di un sopralluogo molto sbrigativo. Non vennero nemmeno concordate le quote di spartizione: S.G. ha detto che se avessero trovato solo 5mila euro si sarebbe limitato a ‘pagare la benzina’ all’autista, e nemmeno si è capito quale fosse la parte spettante all’altro complice”.
L’avvocato Marco Borio, legale di E.G., si è soffermato a sua volta sulla deposizione del rapinatore: “Ha chiarito che S.G. non partecipò né al sopralluogo né alla rapina, e nemmeno fornì indicazioni utili. Circostanza confermata dal fatto che non ci sono riscontri telefonici che lo colleghino al Saluzzese in quei giorni”. A conti fatti, la sua unica responsabilità sarebbe stata quella di aver messo in contatto gli altri due: “Non si capisce nemmeno cosa avrebbe chiesto in cambio della sua collaborazione all’azione criminale. Perché un uomo appena uscito dal carcere dovrebbe rischiare tanto senza trarre alcun vantaggio?”.
Per il pubblico ministero Alberto Braghin, tuttavia, “dopo una prima versione non veritiera al momento del fermo, in tutte le successive dichiarazioni S.G. è stato del tutto coerente”. Confermato, a parere della Procura e dei giudici, anche il ruolo del pregiudicato E.G. come ‘anello di congiunzione’ tra i complici.