Galeotta fu la tazzina del caffè. O almeno tale ha rischiato di essere per un pregiudicato di Sanfront, L.C., accusato di evasione dalla detenzione domiciliare.
Nell’agosto del 2018 l’uomo stava scontando in casa sua una condanna relativa a fatti di quattro anni prima. Durante un normale controllo, i Carabinieri ne avevano però constatato l’assenza: “Ho suonato un po’ di volte, ma non c’era” ha testimoniato in aula l’appuntato dell’Arma che denunciò l’evasione.
Il militare ha aggiunto di essere stato avvisato dalla centrale che il condannato in realtà si era ‘assentato’ per poco tempo e stava per rientrare: “È arrivato da un bar nel centro del paese, dove stava chiacchierando con la sua convivente che lo ha poi accompagnato fino all’abitazione”.
Per giustificarsi, L.C. aveva spiegato di essersi assentato in seguito a una chiamata da parte della compagna, che affermava di essere stata importunata per la strada. Una scusa poco convincente, secondo il pubblico ministero Gianluigi Datta che ne ha chiesto la condanna a otto mesi: “Se è vero che è uscito di casa per questo motivo, avrebbe potuto subito rivolgersi alle forze dell’ordine”.
L’avvocato Alberto Crosetto ha invece sottolineato come si sia trattato di “un episodio isolato, dato che in tutte le altre occasioni si è sempre fatto trovare a casa”. Il difensore ha inoltre ricordato un recente pronunciamento della Corte Costituzionale, che aveva escluso la punibilità in un caso analogo perché l’allontanamento si era protratto per meno di dodici ore e non era finalizzato a commettere altri reati.
Il giudice ha accolto questa interpretazione, ritenendo l’imputato non punibile per via della particolare tenuità del fatto.