“Quando cominciai la mia carriera il fenomeno del caporalato era limitato al Sud Italia, in particolare alla Campania e alla Sicilia, oggi invece il fenomeno è anche del Nord e soprattutto di questa terra”. Con questa considerazione il procuratore capo di Cuneo, Onelio Dodero, ha introdotto la presentazione dei risultati di una lunga indagine partita nel luglio del 2018 e che a portato all'emissione di tre misure cautelari, di cui una in carcere. È la prima volta che la Procura cuneese formula l'accusa di 'caporalato', frutto di una legge introdotta nell'ottobre del 2016. La norma ha rimodulato il reato con la sanzionabilità del datore di lavoro nei casi in cui assuma o impieghi manodopera in condizioni di sfruttamento, anche attraverso intermediari, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori. I fatti si sono verificati in più aziende agricole del Saluzzese, tutte facenti capo ai due imprenditori ortofrutticoli in attesa di processo: rischiano fino a otto anni di carcere, più le relative aggravanti. Attenderà la sentenza in carcere il caporale che faceva da collante tra sfruttatori e sfruttati.
I risultati dell’operazione ribattezzata ‘Momo’, dal soprannome del caporale, sono stati resi noti dalle forze dell’ordine nella mattinata di oggi, mercoledì 22 maggio, nella ‘Sala Cunzolo’ della Questura di Cuneo.
“Una condotta indegna e odiosa – ha continuato il magistrato – si sfruttano persone che scappano da zone meno fortunate: c'è da scandalizzarsi”. Il quadro emerso dalle indagini è effettivamente disarmante: decine di africani lavoravano in nero sette giorni su sette, dalle dieci alle dodici ore al giorno senza alcun tipo di tutela, venendo pagati cinque euro all'ora. In più dovevano corrispondere agli stessi datori di lavoro pagamenti per vitto e alloggio. I braccianti, provenienti da diversi stati dell'Africa Subsahariana occidentale venivano reclutati da un loro connazionale (il cosiddetto caporale) che, in accordo con i due imprenditori, aveva messo in piedi un vero e proprio sistema di contratti 'a chiamata'. Il modus operandi non era differente dal più classico reclutamento nelle piazze del sud, semplicemente l'avanzamento tecnologico consentiva al 'caporale' di reclutare manodopera tramite whatsapp o con una semplice telefonata, invece che 'pescare' sulle strade.
Per inficiare i risultati di controlli e ispezioni gli organizzatori del 'sistema' avevano messo in piedi una serie di stratagemmi volti a creare un clima omertoso tra i braccianti. Il caporale distribuiva bigliettini preconfezionati con nome e cognome del lavoratore e l'indicazione falsa della data di inizio del rapporto di lavoro e del numero di ore lavorate, ovviamente al ribasso. Copia di questi 'pizzini' sono stati trovati nella perquisizione dell'abitazione del caporale, insieme a registri dove annotava i dati degli sfruttati. Agli africani veniva data precisa indicazione di far finta di non comprendere l'italiano, di modo da rendere i controlli più difficoltosi.
In alcuni casi i lavoratori venivano adibiti a mansioni per cui non avevano formazione, come la conduzione di muletti e carrelli, con una palese esposizione al pericolo. Sono stati esposti a pesticidi per i quali non avevano le necessarie protezioni. Chi non si adeguava veniva escluso. Così è capitato ad un gruppo di albanesi che vivevano in uno spazio ricavato nella sede amministrativa di una delle aziende in questione.
“Le posizioni completamente analizzate sono 19, ma ci sono elementi per ritenere che ce ne siano anche di più”, ha spiegato il sostituto procuratore Chiara Canepa, che ha seguito l'inchiesta. Il timore della magistratura cuneese è che nel Saluzzese possa svilupparsi un vero e proprio 'sistema' di questo tipo, volto a eludere il fisco e le più elementari norme di sicurezza sul lavoro.
L'operazione, iniziata alla fine del mese di luglio con il monitoraggio del cosiddetto PAS di Saluzzo e sulle altre strutture messe a disposizione dalla Coldiretti, è stata possibile anche grazie al concentramento dei migranti in una sola zona della città. Le aziende in questione erano già state in passato oggetto di verifiche fiscali della Guardia di Finanza e da parte dello Spresal per violazioni sull’organizzazione e modalità del lavoro. A caratterizzare l'operazione è stata la collaborazione “tra le eccellenze dello Stato” ha detto Dodero: hanno collaborato lo stesso Spresal, i Carabinieri dell'Ispettorato del Lavoro e la Digos, ognuno per quanto riguarda le proprie competenze, oltre che, come detto, la Procura di Cuneo.
“Questi fatti hanno un rilievo anche dal punto di vista della Pubblica Sicurezza, l’attenzione da parte degli organi dello Stato è puntuale. Spero che questi fatti servano da monito per la campagna che sta per cominciare”, ha detto il Questore, Emanuele Ricifari, spostando lo sguardo avanti di un mese quando il Saluzzese verrà “preso d'assalto” da braccianti alla disperata ricerca di lavoro. “Noi non ci fermeremo, non è una minaccia, ma una promessa”, ha chiuso il Procuratore Capo.
Secondo il rapporto “Agromafie e caporalato” realizzato nel 2016 dall’osservatorio “Placido Rizzotto” della Flai Cgil, il volume complessivo d’affari generato da questo forma particolarmente odiosa di economia illegale e sommersa, diffusa in tutta Italia dal Piemonte alla Sicilia, è stimato intorno a 17 miliardi di euro. Sempre secondo lo stesso rapporto, vittime del caporalato sono indistintamente italiani e migranti: 430 mila persone sottoposte a violenza, ricatti, abusi.