Si è chiuso con la condanna a una pena pecuniaria il processo per diffamazione contro un fisioterapista di Saluzzo, G.C., denunciato da un osteopata romano per un post su Facebook risalente al 2020.
Il fisioterapista, presidente di un’associazione nazionale per la tutela delle professioni sanitarie della riabilitazione, aveva pubblicato su un gruppo di settore un elenco di presunti abusivi, tra i quali figurava anche la persona che avrebbe sporto querela: “Alcuni di questi atti erano oscurati - ha spiegato il pubblico ministero Davide Fontana - e quindi non si poteva arrivare ad identificarlo come soggetto autore di esercizio abusivo della professione. Altri no, come ad esempio una fotografia della persona offesa, da cui oltretutto si legge chiaramente il suo nominativo”. La querelle sul fatto che quella dell’osteopata possa essere considerata una professione sanitaria o meno, ha aggiunto il procuratore, è stata oggetto di vari pronunciamenti giudiziari, prima che intervenisse un decreto solo pochi mesi fa.
“Che titolo aveva per sentenziare su una questione che non spettava a lui dirimere?” si è domandato il rappresentante dell’accusa, sottolineando che la segnalazione su Facebook non si limitava a mettere in allerta il pubblico ma conteneva riferimenti specifici all’attività dei singoli, in assenza di “una chiara definizione giurisprudenziale” della questione. Per questo la Procura aveva domandato la condanna a un mese di reclusione. Alla richiesta si è unita la parte civile, rappresentata dall’avvocato Maurilio Prioreschi, il quale ha ricordato che per integrare il reato “non è nemmeno necessario indicare il nome del diffamato, l’importante è che il soggetto sia identificabile”. L’osteopata, ha sostenuto il legale, “non solo è stato accusato di aver esercitato arbitrariamente la professione sanitaria, ma anche indicato come ‘soggetto pericoloso’”. Ad aggravare la posizione, secondo la tesi accusatoria, concorre il fatto che lo stesso G.C. “fa l’osteopata da oltre vent’anni”, e ciò testimonierebbe “l’assoluta malafede dell’imputato”.
“Escludiamo l’intento diffamatorio e la sussistenza del reato” ha replicato l’avvocato Antonello Portera per la difesa: “Non si vedevano i visi e non c’erano nomi in nessuna delle segnalazioni, che sono state tantissime. Non c’era intento diffamatorio, semmai si richiedeva l’intervento delle competenti autorità per la verifica dei titoli, stante la delicatezza della materia”. L’attività del fisioterapista, ha spiegato, ha comportato in effetti centinaia di segnalazioni alle autorità: “Ma se ne dava riscontro anche alle persone iscritte al gruppo chiuso di Facebook: in quattro casi sono state sollevate questioni davanti alle autorità e gli altri tre si sono tutti risolti senza una condanna”. Nel caso di specie, ha obiettato il difensore, “non si sosteneva che quell’osteopata fosse abusivo ma che lo si supponeva privo di abilitazione: non sono stati utilizzati termini offensivi o denigratori”.
Il giudice Emanuela Dufour ha ritenuto diffamatorio il post oggetto della querela, condannando l’imputato a una multa di 600 euro e a un risarcimento da quantificare in sede civile. A titolo di provvisionale, il fisioterapista dovrà versare 5mila euro alla persona offesa.