Si è conclusa nei giorni scorsi con una sentenza di condanna la vicenda giudiziaria che vedeva imputato M.M., titolare di una ditta di lavorazione del ferro a Scarnafigi.
L’imprenditore era finito sotto processo in seguito all’
infortunio subito da un operaio della sua azienda nel febbraio 2014. Il dipendente, un 37enne albanese residente a Saluzzo, era al suo primo giorno in ditta e lavorando con una pressa idraulica aveva riportato lo schiacciamento della mano sinistra, con una prognosi di due mesi e mezzo. Dai successivi accertamenti è emerso che M.M. non era presente nello stabilimento quel giorno: aveva però lasciato istruzioni al figlio e a un altro dipendente albanese, assunto come magazziniere ma impiegato in varie mansioni, riguardo al lavoro da svolgere.
La tesi dell’accusa, sostenuta dal procuratore aggiunto Gabriella Viglione, è che le mancanze imputabili all’azienda siano molteplici: “Il nuovo operaio era un pesce fuor d’acqua, affidato a un lavoratore anziano per una formazione di cui avrebbe dovuto farsi carico l’impresa”. Il collega, secondo le testimonianze, era rimasto con lui non più di mezzora e in seguito era tornato più volte per raccomandargli di fare attenzione a non spostare i pezzi con la mano: si trattava di lavorare a freddo sulle piastrine metalliche. L’infortunato non si era mai cimentato alla pressa prima di quel giorno. Per giunta, il macchinario su cui lavorava avendo in dotazione solo un paio di guanti e un cacciavite era molto vecchio.
Per M.M., al termine della requisitoria, la rappresentante della Procura aveva
chiesto la condanna a sei mesi. La difesa ne aveva invece domandato l’assoluzione rilevando che l’ex dipendente era già stato risarcito dei danni.
Il giudice Marco Toscano ha condannato l’ex datore di lavoro dell’operaio infortunato, limitando però la pena a una sanzione pecuniaria di 300 euro.