Alla fine è stata la targa di un camion - e l’accortezza di chi l’ha annotata dopo essersi insospettito - a ‘incastrare’ per la truffa ai danni di una cooperativa agricola di Revello due campani, il pluripregiudicato 58enne L.P. di Salerno e il suo coimputato D.T., 49 anni, titolare di una ditta di trasporti a Pagani (Sa).
Nel marzo del 2016 un sedicente esportatore aveva ordinato due carichi da 20 tonnellate di kiwi, per circa 30mila euro. In teoria sarebbero dovuti arrivare presso l’azienda Caterteam di Varsavia, ma in Polonia nessuno ne sapeva nulla: l’astuzia è stata proprio quella di servirsi della partita Iva di un’impresa esistente, e dei buoni uffici di un intermediario che il responsabile della cooperativa conosceva bene.
Per raggirare il mediatore, un esperto nel settore delle esportazioni ortofrutticole, gli ideatori della truffa avevano sostenuto di parlare a nome della BM srl di Salerno, un’azienda con cui il professionista aveva già concluso affari un decennio prima. Le coperture assicurative della Caterteam e delle altre importatrici straniere coinvolte risultavano regolari, così come il trasportatore. L’unico particolare anomalo era il fatto che lo stesso autista avesse effettuato entrambi i viaggi ed era stata proprio questa stranezza a indurre un dipendente della cooperativa revellese a segnare il numero di targa. Una precazione che ha poi consentito di risalire alla B&T, l’azienda di trasporti gestita da D.T. in Campania.
“La merce che sarebbe dovuta andare all’estero è invece sparita nei magazzini di Milano: un meccanismo consolidato in tutte le truffe di questo tipo nel contesto saluzzese” ha spiegato il pubblico ministero Raffaele Delpui. Le tracce dei kiwi in effetti arrivavano fino a Cormano, nel Milanese, per poi perdersi del tutto: “Tutte le circostanze evidenziano la professionalità di entrambi i soggetti, che hanno creato una parvenza di normalità sfruttando un precedente rapporto di fiducia con l’intermediario”. Per L.P., gravato da vari precedenti specifici e ritenuto la ‘mente’ della truffa, la Procura ha chiesto un anno e sei mesi di carcere, mentre per il presunto complice D.T., incensurato, la richiesta è stata di un anno di pena.
L’avvocato difensore di quest’ultimo, Paolo Verra, ha obiettato che non ci fosse alcuna prova oggettiva circa il fatto che l’imprenditore di Pagani avesse davvero concorso nel reato. Il legale di L.P., avvocato Antonio Vetrone, ha sostenuto a sua volta che dall’istruttoria dibattimentale sarebbe emerso “un quadro assai lacunoso, dove la stessa parte offesa afferma di non aver mai interagito con l’imputato bensì con qualcuno che sosteneva di parlare a suo nome”.
Il giudice Sandro Cavallo, ritenendo fondato il quadro accusatorio, ha condannato L.P. alla pena di un anno e quattro mesi e D.T. a un anno.