Ai giudici che l’hanno ascoltata aveva descritto la trama di una relazione affossata dalla gelosia morbosa del marito, dalle incomprensioni sempre più profonde, dai problemi di lui con l’alcol e con la gestione delle spese: “C’erano stati momenti affettuosi quando eravamo ancora fidanzati, ma quando ci siamo sposati lui è cambiato: è come se fossi diventata una sua proprietà”.
Le parole sono quelle di una 46enne di Savigliano, vittima in una notte di follia e violenza da parte di un uomo che la considerava “roba sua”: “Mentre mi violentava diceva ‘tu sei mia moglie’. Lo aveva ripetuto sovente in altre occasioni, dicendo che dovevo fare sesso con lui anche quando non volevo”. Quando lei ha trovato la forza di scappare e denunciarlo, lui è finito a processo per violenza sessuale, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia e lesioni aggravate. Imputazioni pesanti che gli sono costate una condanna a sette anni, un mese e quindici giorni di carcere, più una provvisionale da 25mila euro e i danni da corrispondere all’ex moglie.
I due, lei italiana, lui di nazionalità albanese, si erano conosciuti nel 2014 e sposati dopo meno di un anno di fidanzamento. Ben presto però i rapporti avevano cominciato a incrinarsi per le sempre più frequenti discussioni sulle spese eccessive in famiglia e per la decisione dell’uomo di trasferirsi per lavoro nel Torinese. Dalla primavera del 2017 la convivenza era di fatto cessata ma la moglie continuava, seppur controvoglia, a fare la spola tra casa sua e il nuovo alloggio del marito. Anche in quel giorno di dicembre era stato lui a invitarla a raggiungerlo, ma all’arrivo della donna era già alterato dall’alcol.
Dopo cena, quell’aggressività latente si era trasformata in un impeto di rabbia furiosa, come già accaduto in passato. Lui l’accusava di avere un amante solo perché l’aveva vista controllare i messaggi sul cellulare: “Mi ha presa per il collo e mi ha dato un pugno sul labbro, afferrandomi per i capelli e trascinandomi sul pavimento. Perdevo sangue dal naso e dalla bocca e gridavo aiuto, avevo paura che mi volesse uccidere”. Le violenze, secondo il racconto della vittima, non erano cessate nemmeno quando lei era già a terra: “Mi ha dato un calcio sulla coscia procurandomi un livido molto grande. Quando poi mi sono rialzata e ho preso il telefonino per chiamare la polizia me l’ha levato di mano e se l’è messo in tasca. Poi ha preso tutti i miei effetti personali e ha chiuso la mandata della porta, mettendosi la chiave in tasca”.
Solo dopo le tre di notte il marito, sempre più ubriaco, avrebbe acconsentito a lasciarla almeno riposare: “Speravo si mettesse anche lui a dormire, ma quando siamo stati a letto mi ha afferrata per i polsi levandomi i pantaloni e ha preteso un rapporto sessuale contro la mia volontà. Urlavo come una matta e chiedevo aiuto, ma nessuno mi ha sentita”. Alle prime luci dell’alba, quando il suo aguzzino era caduto in un sonno profondo, era finalmente riuscita a fuggire da quella casa e a raggiungere l’ospedale. Oltre alle violenze sessuali, i medici avevano refertato lesioni sul viso e sul corpo della donna.
Già in altre occasioni, ha raccontato la parte offesa, il marito avrebbe tentato di obbligarla a fare sesso: “Se non accondiscendevo mi spingeva giù dal letto a calci e mi insultava. Un giorno aveva cercato di violentarmi mentre dormivo ma ero riuscita a divincolarmi”. Per queste ragioni si era rivolta già nei primi mesi di matrimonio all’associazione anti-violenza Mai+Sole e a un avvocato, che le aveva consigliato di annotare ciò che le accadeva su un diario. I suoi terribili resoconti si sono rivelati utili in sede processuale. Su di essi, oltre che sui referti, si è basata il sostituto procuratore Francesca Lombardi chiedendo per l’imputato una condanna a sei anni e due mesi di carcere. La difesa aveva invece menzionato, tra le altre, la testimonianza della madre di lei che affermava di essere a conoscenza dei litigi ma di non aver mai sentito menzione delle violenze.