Accusato di tentata violazione di domicilio per aver cercato di rientrare in casa sua: è la curiosa vicenda di L.S., classe 1979, residente a Cavallerleone. L’uomo è addirittura finito a processo dopo essere stato denunciato dai carabinieri che nell’aprile dello scorso anno lo avevano sorpreso in un tentativo di effrazione.
Peccato che quello in cui stava per fare “irruzione” fosse proprio l’alloggio in cui abitava già da alcuni mesi insieme alla compagna. All’origine dell’equivoco c’è il fatto che quest’ultima, la sera prima, era stata ricoverata in ospedale per un grave problema di salute che l’avrebbe in seguito condotta al coma. L.S., rimasto fuori casa senza le chiavi, aveva quindi cercato di rientrare: “Aveva una mano sanguinante e affermava di voler recuperare i propri effetti personali. Una finestra aveva il vetro crepato e mostrava segni di forzatura” ha raccontato in aula uno dei carabinieri che avevano trovato L.S. sul posto, con un martello e un cacciavite. A richiedere l’intervento delle forze dell’ordine era stato il figlio della convivente dell’uomo, il quale aveva in un primo tempo affermato di aver obbedito alla richiesta della madre di non far entrare L.S. in casa. “In quei giorni c’era un po’ di astio tra loro e anche i carabinieri mi avevano detto di non far lasciare nessuno” ha spiegato il giovane al giudice, precisando però che in ospedale - alcuni giorni dopo aver ripreso coscienza - era poi stata sua madre stessa a chiedergli di riconsegnare le chiavi al convivente.
La donna ha confermato di non aver mai voluto costringere il suo compagno ad abbandonare l’abitazione comune: “Non ho presentato denuncia e la nostra convivenza non si è mai interrotta. Malgrado le discussioni tra noi non lo avrei lasciato per strada in ogni caso, specie durante il lockdown”. All’imputato era stato contestato anche il porto di armi improprie, altra circostanza per la quale ha offerto una giustificazione: “Il martello era già di fianco alla finestra e io stavo solo cercando di entrare. Era casa mia, anche se non avevo ancora fissato la residenza”.
Al termine dell’istruttoria è stato lo stesso sostituto procuratore Alessia Rosati a chiedere l’assoluzione: “Non è emerso che l’imputato si sia introdotto nell’abitazione contro la volontà della titolare del diritto. Lei stessa ha negato di aver chiesto al figlio di proibirgli l’accesso” ha detto la rappresentante dell’accusa. L’avvocato Cinzia Mureddu, per la difesa, ha spiegato che “si è senz’altro trattato di un’incomprensione con il figlio che la sua compagna aveva avuto da una precedente relazione. L.S. in quel momento si era preoccupato di assistere la donna in pericolo di vita e non di prendere le chiavi”.
Il giudice Giovanni Mocci ha infine assolto l’imputato da entrambi i capi d’accusa per particolare tenuità del fatto.