SAVIGLIANO - Sesso con l’alunno quattordicenne: la Procura chiede sette anni per l’insegnante di sostegno

La donna, all’epoca 36enne, è imputata anche di stalking: “Ne ha sfruttato la fragilità, spingendolo ad accusare la madre di maltrattamenti inesistenti” sostiene il pm

Andrea Cascioli 13/09/2023 17:00

Ha parlato di “un’opera di persuasione subdola e sottile nei confronti del minore” il sostituto procuratore Alessia Rosati, nel chiedere una condanna a sette anni di carcere contro una docente di scuola media di Savigliano, all’epoca 36enne, accusata di abusi sessuali su minore e atti persecutori.
 
Il ragazzo è un suo ex alunno, ancora quattordicenne quando i due si erano conosciuti in una scuola di paese. Al giovane, straniero, con un passato di violenze subite dal padre nell’infanzia e un disturbo dell’attenzione diagnosticato, era stato riconosciuto il sostegno. La 36enne era appunto l’insegnante che avrebbe dovuto seguirlo, permettendogli di recuperare due anni in uno e sostenere l’esame da privatista. Ma il rapporto tra i due era evoluto ben presto in qualcosa di molto diverso: “La situazione un po’ per volta si è fatta anormale. La professoressa era molto disponibile ma troppo invadente” ha detto in aula la madre, artefice della denuncia arrivata nel maggio 2018. Pochi mesi prima, in febbraio, la sorella dell’adolescente aveva scoperto sul suo cellulare alcuni messaggi ambigui, dove la prof lo chiamava con vezzeggiativi come “cucciolo” o “amore”. Troppo poco, secondo la scuola a cui la famiglia si era subito rivolta, per procedere oltre. Più tardi però sarebbero spuntate anche fotografie inequivocabili dove l’insegnante si ritraeva in abiti succinti e nell’atto di praticare autoerotismo: immagini inviate dal suo profilo Instagram a quello dell’alunno. L’accusata ha ammesso nel corso del processo di aver avuto rapporti completi con il giovane ma, spiega, questo sarebbe accaduto solo nell’estate successiva, quando non era più una sua docente: solo allora lui avrebbe tentato l’approccio sessuale e lei lo avrebbe subito.
 
“Una ricostruzione generica e inverosimile” obietta il pubblico ministero, chiedendo al tribunale di pronunciare una condanna senza attenuanti generiche perché “l’imputata non ha avviato alcun percorso di rivisitazione”. La versione a cui l’accusa dà credito è invece quella emersa, a fatica, dai racconti del ragazzo, ma anche dalle testimonianze di alcuni coetanei e delle figure professionali, educatori e terapeuti, che hanno raccolto le sue confidenze: “Quando mi confidavo con lei - si legge tra le dichiarazioni riportate dalla psicologa - pensavo che quelle cose non le avevo mai dette a mia madre, ci stavo male. Mi sembrava di essere in terapia, mi sentivo ipnotizzato, non mi sentivo me stesso”. Tra le accuse più gravi c’è quella di aver indotto il minorenne ad inventare presunti maltrattamenti da parte della madre, in modo da tenerlo lontano dalla famiglia. È un episodio accaduto durante le vacanze di Natale, quando il ragazzo aveva preso ad andare ogni giorno a casa della prof, ufficialmente per svolgere i suoi compiti: “Lei aveva convinto la madre ad acconsentire sostenendo di essere autorizzata dalla scuola, circostanza che la preside ha negato” aggiunge il procuratore. Una sera, non vedendolo rientrare, la mamma aveva telefonato all’insegnante minacciandola di rivolgersi ai carabinieri: “È qui che lei lo induce a raccontare una menzogna importante, affermando che la madre lo picchiava. In seguito lui avrebbe riferito di essersi sentito ‘uno schifo’, vedendo la madre in caserma che lo guardava e gli chiedeva perché stesse dicendo cose non vere su di lei, ma lui voleva accontentare la professoressa”.
 
La natura morbosa di quel rapporto, secondo la Procura, si evince da numerosi particolari: il fatto che l’accusata avrebbe chiesto al suo “protetto” di scriverle su Telegram impostando un timer per i messaggi, in modo che venissero cancellati dalla memoria del telefonino. O che proprio lei gli avesse fornito di nascosto un cellulare per continuare a sentirlo, dopo che la madre aveva deciso di sequestrargli il suo: “Sembrava che non potessi più ragionare, come se avessi fumato una canna” avrebbe detto più tardi alla psicologa. “Nel minore - aggiunge il pm - ha inculcato che fosse normale avere rapporti sessuali, oltretutto non protetti: ‘Lei voleva fare una famiglia con me e mi diceva sempre questo’ ha raccontato la vittima, mentre due suoi amici confermano di aver saputo che lei gli aveva inviato la foto di un test di gravidanza”. Agli atti del procedimento ci sono anche altre immagini, come quelle che ritraggono un tatuaggio sul corpo di lei con il nome dell’allievo: “Un omaggio alle persone con lo stesso nome che ho incontrato nella vita” ha spiegato la donna. Per l’accusa, l’imputata “ha indotto un consenso viziato nella persona offesa che altrimenti il minore non avrebbe prestato”. I tentativi di ricontattarlo, anche dopo la denuncia, gli sono valsi l’ulteriore accusa di stalking: “Condotte vessatorie hanno indotto un grave stato di ansia nel minore che ha dovuto sottoporsi a terapia farmacologica per tornare a dormire normalmente”. Tra queste, ci sarebbe il tentativo di ottenere un trasferimento nell’istituto superiore che il quattordicenne doveva frequentare l’anno dopo: “L’aveva bloccata sui social, ma lei continuava a mandargli moltissimi messaggi perfino con un profilo falso”.
 
Alle richieste di condanna si è associata per la parte civile costituita l’avvocato Fiammetta Rosso: “La condotta induttiva dell’imputata è stata costruita con grande cura, anche attraverso la svalutazione delle figure parentali di riferimento per il ragazzo, sia la madre che la sorella. Ha agito su un nucleo familiare già in difficoltà”. Per questo la famiglia chiede ora 30mila euro di danni, con una provvisionale non inferiore ai 10mila. Il prossimo 8 novembre sono attese le arringhe della difesa, con gli avvocati Nicola Dottore e Luca Mondino, poi la sentenza.

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