Tre anni e dieci mesi di carcere, con la possibilità però di scontare la pena in regime di detenzione domiciliare: questa la condanna inflitta dal tribunale di Cuneo a una professoressa di scuola media, accusata di abusi sessuali su minore e atti persecutori. I giudici non hanno creduto alla tesi difensiva di un rapporto “alla pari” tra l’insegnante, classe 1981, residente a Savigliano, e un quattordicenne che le era stato affidato durante una docenza di sostegno. Tuttavia l’accusa più grave è stata riqualificata: la procura contestava alla donna, all’epoca 36enne, di aver approfittato anche dell’inferiorità psichica dell’adolescente, cui era diagnosticato un disturbo dell’apprendimento. Per lei erano stati chiesti sette anni di reclusione.
La denuncia era partita dalla madre del giovane, proveniente da una famiglia straniera e con un passato di abusi fisici subiti dal padre. Un ragazzo difficile, lui, diviso tra l’apparenza da bulletto e una grande fragilità psicologica, secondo gli educatori e i docenti che l’hanno conosciuto. Plagiato da quella donna più grande di oltre vent’anni, hanno sostenuto gli inquirenti, fino al punto di inventare maltrattamenti da parte della madre solo per passare la notte insieme alla prof amante, in casa di lei. Quella frequentazione morbosa esisteva già almeno da fine 2017, quando lui aveva trascorso le vacanze di Natale recandosi ogni giorno dall’insegnante, per preparare da privatista l’esame di terza media. “Nessuno l’aveva mai autorizzata a scuola” ha ricordato nelle sue conclusioni il pm Alessia Rosati: il progetto educativo sarebbe dovuto partire a gennaio e si doveva svolgere tutto in aula.
“Sembrava che non potessi più ragionare, come se avessi fumato una canna” avrebbe raccontato più tardi il giovane alla psicologa, ripensando a quei mesi di intimità. Riceveva foto di lei con indosso solo una camicetta o intenta a praticare autoerotismo, regalini, messaggi con vezzeggiativi come “cucciolo” o “amore”. Ma c’erano altri aspetti che l’avevano molto inquietato, come il fatto che lei, già madre di una figlia della sua stessa età, dicesse di voler restare di nuovo incinta: “Lei voleva fare una famiglia con me e mi diceva sempre questo” ha riferito più tardi l’ex alunno, ormai maggiorenne. L’infatuazione era arrivata al punto che lei si era tatuata il nome di lui su una spalla: “Era solo affetto” ha spiegato l’imputata, ammettendo di aver fatto sesso con il minorenne, ma solo nell’estate, quando non era più sua insegnante. “Mi sono lasciata andare” ha detto, cedendo a quella “relazione proibita”.
Per gli avvocati della donna, Nicola Dottore e Luca Mondino, sarebbe stato sempre lui a mantenere l’iniziativa: “Non siamo di fronte a un soggetto debole. È stata una storia tra due persone, dopo essersi divertito lui ha detto basta. Per quanto possa far discutere, non c’è rilevanza penale” ha affermato Dottore. Mancava, a parere del legale, quella “piena consapevolezza del proprio potere verso una persona più debole” che la giurisprudenza richiede perché si possa parlare di reato: per la legge, infatti, la soglia del consenso è fissata a quattordici anni, ma si innalza a sedici se l’adulto è un tutore o - appunto - un docente. “Lei - ha aggiunto - è una donna sola e separata da moltissimo tempo, provava sentimentalmente qualcosa. Ma non è un soggetto capace di programmare questa aggressione verso un ex studente per portarselo a letto”. Quanto allo stalking, il codifensore Mondino ha obiettato: “È emerso in maniera palese che questi contatti erano del tutto reciproci: lui rispondeva e scriveva di sua iniziativa, ancora durante questo processo ha continuato a cercarla”. Idem per quanto riguarda i messaggi a contenuto sessuale (“era lui a richiedere certi contenuti e una certa frequentazione”) o per la volontà che la donna avrebbe manifestato di farsi trasferire in un altro istituto scolastico, apposta per “seguire” il suo protetto, che nel frattempo aveva iniziato le superiori: “Non poteva decidere lei dove sarebbe stata assegnata, toccava ai dirigenti”.
La pubblica accusa e la parte civile, rappresentata dall’avvocato Fiammetta Rosso, hanno insistito sulla scansione degli eventi: il sesso c’era stato già durante il periodo scolastico, ha sottolineato il procuratore. In particolare, ha detto, “le immagini sul telefonino della persona offesa sono state scoperte dalla madre a maggio del 2019, ma i primi messaggi della chat risalgono al febbraio dell’anno precedente”. Tra le colpe, ha rimarcato ancora, il fatto che l’imputata “ha tentato in tutti i modi di screditare la madre di lui ai suoi occhi”.
Nella sentenza di primo grado è disposto anche il pagamento di 30mila euro alla parte civile, a titolo di risarcimento. L’insegnante, sospesa e poi rientrata in servizio, è stata dichiarata interdetta in perpetuo da incarichi in scuole di ogni ordine e grado.