C'è un paese della provincia cuneese ai piedi di una montagna a due punte,che nemmeno il diavolo riuscì a abbattere, così narra la leggenda. È lì che sto andando, per incontrare Simone Giraudi, scrittore trentunenne che ho conosciuto l'estate scorsa nella sua veste di giornalista locale. Eravamo a una conferenza stampa di un festival di cinema. Mi colpirono la sua gentilezza nell'aiutarmi a identificare alcuni divi di Hollywood e il taccuino su cui prendeva appunti (provo profonda ammirazione per chi non deve usare, causa una grafia terribile, lo schermo di uno smartphone).Che fosse anche uno scrittore l'ho scoperto soltanto in seguito. Quando arrivo a Peveragno, Simone mi sta aspettando in piazza XXX Martiri per portarmi nei luoghi in cui è ambientato
Sanguinare Polvere, romanzo a puntate pubblicato mensilmente su Spore Rivista, la rivista online con cui l'autore collabora da tempo. La piazza dove ci incontriamo ricorda un eccidio nazista del '44, elemento centrale in questo romanzo giallo horror dove la memoria di un fatto storico si intreccia con il sovrannaturale. Simone mi racconta di come sua nonna, fortunatamente sopravvissuta, fosse presente quel giorno e mi mostra i fori dei proiettili, ancora visibili sotto la lapide commemorativa. Poi saliamo sulla sua macchina per un piccolo tour del paese che ci porta alla scoperta di un'abitazione in piazza Santa Maria, di un angolino verde nascosto dietro le case ("il classico posto da adolescenti un po' sfatti con il portone, un tempo, ricoperto di scritte”), di un parco giochi che fino a qualche anno fa era una piazzetta. Ultima tappa: la cappella di San Giorgio. Per raggiungerla imbocchiamo una strada che si inerpica su per la collina e, finalmente, dopo alcuni imprevisti tra cui una retromarcia in discesa piuttosto lunga e una serie di manovre, arriviamo su quel sito dove i druidi facevano sacrifici umani, dove secondo la leggenda giacciono i resti di quel drago -ormai solo chiazza scura nell'affresco trafugato- sconfitto dal santo per portare in salvo la principessa, lì dove svetta il campanile minareto fatto costruire negli anni '30 da Mario Lago, allora governatore delle isole italiane dell'Egeo. In lontananza, immerso nella nebbia, il collegio dei Salesiani, ecomostro anni '80 e unico luogo del romanzo che osserviamo da lontano. La pioggia fitta, più delle mie scarpe inadatte, ci obbliga a tornare in paese. Entriamo in un bar e facciamo la nostra chiacchierata.
Allora iniziamo: chi sei?
"Chi sono? Sai che è una domanda che calza veramente alla grande?".
Grazie.
"Figurati. Ma non è un complimento! Calza bene perché da quando è nata mia figlia faccio seriamente fatica a rispondere. In realtà da sempre fatico a darmi una risposta. Credo di essere una persona adulta che cerca di fare le cose che le piacciono e che crede possano fare del bene alle persone che le interessano. Uno che ci prova a fare le cose, insomma. Non ho un'altra definizione al momento".
Stai tranquillo. È soltanto un'intervista.
"Sì ma, cazzo, se tu inizi un'intervista chiedendomi chi sei...".
Se fossi al tuo posto ti avrei risposto con certezza che non lo so più chi sono. Comunque, perché hai iniziato a scrivere?
"Bellissima domanda anche questa. Scrivere è il modo più semplice per pensare quello che voglio dire e per dire quello che voglio dire veramente, per essere il più chiaro possibile perché con le parole parlate ho davvero più difficoltà. Mi rendo conto di averti dato una risposta piuttosto banale".
Quando hai iniziato?
"In quinta liceo. Avrei voluto fare lo sceneggiatore di fumetti -tecnicamente sono diplomato in sceneggiatura alla scuola Internazionale di Comics di Torino- ma poi, quasi subito, ho sentito la voglia di provare qualche forma di scrittura più diretta che non fosse parte di un processo più ampio, lungo e complicato. Così ho iniziato a scrivere racconti".
La prima cosa che hai scritto te la ricordi?
"Sì, certo. Un racconto postapocalittico zombie ambientato nel mio liceo (il liceo l'avevo finito già da due anni...)".
Sei uno scrittore ma fai il giornalista. Un giornalista deve essere sempre sul pezzo, a volte nuota in un mare di squali e va in pasto ai leoni da tastiera. Uno scrittore, invece, cerca l'ispirazione, racconta storie e sa emozionare. Come riesci a far convivere le tue due anime?
"In quella più difficile, cioè il giornalismo, cerco di evitare al minimo le occasioni di stress. Ti faccio un esempio: non leggo i commenti ai miei pezzi dall'anno successivo alla mia entrata nella redazione di TargatoCn, nove anni fa".
Allora sei su questa piazza da parecchio tempo a differenza mia. Come sono questi giornalisti locali?
"A parte i casi più rari – di cui ho un esempio seduto proprio qui di fronte- secondo me, e lo dico con affetto buttandomi dentro anche io, in generale sono un branco di personaggi strani e, spesso, "disperati". Molti sono ancora convinti che fare il giornalista sia il lavoro più bello del mondo, nonostante le evidenze concrete siano tutte contrarie, e, per qualche ragione, di non poter fare nient'altro. E quindi si uniscono in queste redazioni che sembrano delle bande, un po' in stile "I Guerrieri della notte", anche se in realtà si vogliono tutti molto bene. Per quello che seguo io nella maggior parte del tempo, cioè l'amministrazione di Cuneo, vedo sempre le stesse facce e scriviamo tutti gli stessi articoli come se fossimo non dico una grande famiglia ma un gruppetto dove, a volte, ci passiamo le cose. Non ho problemi a dirlo. Per me non esiste la questione della concorrenza".
Adesso sono io a chiedermi chi sono. La descrizione che hai appena fatto mi fa sentire una chimera.
"Ma tu sei una chimera! E te lo dico con stima. Secondo me sei il giornalista più interessante che c'è a Cuneo città in questo momento perché fai la giornalista veramente mentre noi siamo redattori più che altro".
Io sono una fotografa. Della chimera non dovrei scrivere perché qualcuno dirà che me la tiro. Ma sai che c'è? Non me ne frega niente. Cerco di essere vera.
"E fai bene. Ecco perché secondo me sei più giornalista di tanti".
Torniamo a te. Perché pubblicare un romanzo a puntate su una rivista online, oggi, e non un libro? Una scelta che richiama alla mente i romanzi d'appendice ottocenteschi che uscivano a puntate su riviste e quotidiani.
"Sicuramente perché è una cosa che non fa nessuno, o comunque in pochi, e quindi mi piaceva l'idea di un'operazione particolare e insolita. Poi guardando l'aspetto economico, e visto che non faccio solo lo scrittore, oggi non ha più senso pubblicare un libro. Tutti gli scrittori, anche i più pubblicati, ormai tengono corsi di scrittura, sono anche giornalisti o fanno altro. Quasi nessuno, in Italia, vive della vendita dei libri ma non voglio tediarti sul funzionamento del sistema dell'editoria".
Non sono un'esperta ma leggo una newsletter molto figa che si chiama Bengala.
"Bengala?".
Sì, Bengala di Ray Banhoff. Dovresti iscriverti! In un numero si parlava del sistema dell'editoria e di come il libro non sia più un prodotto culturale ma una merce che deve riempire gli scaffali. E di una casa editrice, GOG Edizioni, che ha scelto di uscire dalle librerie e da un sistema dove al distributore, la realtà che rifornisce i punti vendita, va quasi il 60% del prezzo di copertina (all'autore meno del 10%), togliendo il codice ISBN e vendendo i suoi libri solo tramite il sito o alle fiere. Forse la conosci.
"No, non la conosco. È vero che il libro non è più un oggetto culturale ma un oggetto, nel senso di una cosa che deve stare letteralmente su uno scaffale. Non so quante case editrici medio piccole tu conosca ma quella con cui ho pubblicato il mio primo romanzo (Tatuaggi color pelle) -la Leucotea Edizioni- che ringrazio e di cui ho massima stima e rispetto, pubblica duecento libri l'anno. Non penso ci sia bisogno di dire altro a livello di qualità letteraria. Posso capirli perché anche loro devono mangiare ma io ho deciso di fare una scelta diversa.. Anche perché negli ultimi quattro anni mi sono buttato nel mondo delle riviste letterarie e mi sono innamorato di questo pianeta fighissimo fatto da un sacco di persone che, senza guadagnarci economicamente nulla, fanno le cose in maniera veramente professionale perché provengono dal campo dell'editoria. La mia rottura con il mondo editoriale, e non voglio darmi troppe arie rivoluzionarie perché so di non essere nessuno, è legata all'idea di volere dare qualcosa di mio, e di più lungo di un racconto, al mondo delle riviste. Una sorta di piccolo tributo”.
La tua scelta, anche se è dettata dall'amore per quello che fai, diventa obbligata in un paese che non vuole riconoscere il valore della cultura.
“Guarda in Italia le riviste letterarie sono considerate una palestra unanimemente riconosciuta, un mondo parallelo alla grande editoria dove si fanno le stesse, cose con la stessa professionalità ma con più etica. Molti cominciano a pubblicare con le riviste nella speranza di essere notati dalle case editrici. E questo scouting c'è, quindi è un'opportunità concreta. Ci sono alcune riviste letterarie che pagano ma personalmente mi chiedo se per definire il mio lavoro di scrittore sia necessario dargli un compenso. In questi quattro anni con le riviste ho imparato tantissimo confrontandomi con chi edita i racconti e ho stretto parecchi legami...per me questa cosa qui non ha veramente un prezzo".
É sbagliato pensare di poter scegliere di riuscire a campare facendo le cose che amiamo?
"Certo che no. Ma secondo me sono tutti ragionamenti che dobbiamo lasciar stare perché tanto di scrittura, come di molte altre cose, qui non ci vivi".
Questa è rassegnazione.
"É presa di coscienza".
In ogni caso penso sia importante non stare zitti. Ma siamo qui per parlare del tuo romanzo: come è nata l'idea di Sanguinare Polvere?
" Avevo voglia di scrivere di superamento e accettazione di traumi e lutti. Nel romanzo tutto ruota attorno a un personaggio che si fa carico del dolore dell'intera comunità senza riuscire a superarlo. Il dolore è ciò che mi ha spinto a cercare una forma di scrittura più immediata e a lasciare la sceneggiatura in seguito alla scomparsa del mio migliore amico. Credo che scrivere mi sia servito molto per buttare fuori le cose che sentivo. È stata una forma di autoanalisi".
Il romanzo è ambientato a Poràgneve, trasposizione letteraria del paese in cui vivi.
"Avevo già scritto un racconto con una storia molto simile, tempo fa. Mi interessava scrivere qualcosa sul posto in cui vivo e così ho pensato di ampliare quel racconto e inserire più elementi legati alla storia del paese. Per gran parte della mia vita Peveragno non mi è piaciuta, e credo si capisca bene leggendo il romanzo. Poi, però, sono sceso un po' a patti e alla fine i luoghi che compaiono sono quelli per cui mi piace vivere qui, luoghi che mi sono divertito a riscoprire durante la stesura del romanzo”.
Un giallo horror in cui la memoria di un fatto storico, l'eccidio nazista del '44, si lega ad aspetti sovrannaturali. Che cosa sono memoria e ricordo?
"Mi sono fatto anch'io questa domanda scrivendo il romanzo. C'è una scena, ambientata in piazza XXX Martiri in cui Ed, il protagonista, ricrea l'eccidio tramite un rituale magico. Una scena nata perché volevo far vedere dei fantasmi senza utilizzare il classico stereotipo delle creature soprannaturali sospese nell'aria. Credo che i ricordi e le cose che ci succedono siano un po' questo: fantasmi che ci portiamo dietro e che ogni tanto vediamo, proiettiamo, evochiamo, anche partendo dal niente o da un semplice stimolo. I ricordi e la memoria sono la cosa più vicina al soprannaturale che possiamo sperimentare realisticamente nelle nostre vite".
Ed, il protagonista, è un investigatore dell'occulto contemporaneo che puoi trovare su Google e su Facebook. Non vive a Londra e non ha certo il fascino di Dylan Dog. Arriva a Poràgneve in soccorso di Giacomo che, a causa di un incubo, non riesce più a dormire. Mi è venuto in mente Sonno di Murakami e il mondo onirico dello scrittore giapponese.
"Sonno è una delle mie letture preferite, un racconto allucinato, e sono convinto che se non lo avessi letto non avrei mai iniziato a scrivere. Murakami non l'ho mai sentito come un'influenza forte ma è bello che chi legge veda altre cose in quello che scrivo. I principali riferimenti sono Dylan Dog e John Constantine, l'investigatore protagonista di Hellblazer, fumetti dove l'occulto diventa materia per criticare la società della Thatcher".
I veri mostri siamo noi...era quello il messaggio. Altre influenze?
"Il cinema di Lynch, un regista che ha avuto tantissimo peso su quello che scrivo. Non so se esiste un modo per definire la terza stagione di Twin Peaks ma credo che nessuno abbia ancora capito cosa abbiamo visto alla televisione. Per non parlare di Mulholland Drive e di Strade Perdute. Ma anche Carpenter -La cosa è il mio film preferito- e Cronenberg...quando vedi per la prima volta Inseparabili cosa puoi dire? Solo cercare di emularlo malamente".
Il romanzo è accompagnato dalle illustrazioni di Claudia Corso.
"Claudia non la conosco personalmente e abbiamo iniziato a collaborare proprio grazie a Spore Rivista. Non so come sia possibile che due persone che non si sono mai viste riescano a avere in testa le stesse immagini però con Claudia succede spesso, e quando non succede è perché quello che lei mette in scena è migliore di quello che io avevo in mente".
Visto che prima abbiamo parlato di Dylan Dog, c'è ancora una domanda che vorrei farti.
"Vai".
Secondo te la provincia cuneese è la zona del crepuscolo?
"Credo di sì. Secondo me lo è un po' tutta la provincia ovunque tu ti trovi, soprattutto in un posto come l'Italia".
E non ti fa paura? Io sono terrorizzata.
"Un po' sì....Però, al di là del primo numero in cui compare, la zona del crepuscolo torna in almeno un altro albo e, lì, ti lasciano intendere che questo loop di azioni che si ripetono sempre uguali solo al suo interno è qualcosa non dico di positivo ma quantomeno accettabile rispetto al caos indistricabile del resto del mondo. In fondo è quello di cui parlavamo prima...rassegnazione e accettazione. Secondo me devi anche capire il posto in cui ti trovi, l'angolo di mondo e di società in cui vivi. Non lo so, forse sarà perché con la nascita di mia figlia Olivia sono invecchiato di colpo di quindici anni ma non ci vedo tutto questo male ad accettare una condizione così straniante come quella della zona del crepuscolo".
Forse dipende dall'anima che sei. A volte, se si apre uno squarcio, non riesci più a stare al suo interno e provi angoscia. Un po' come è capitato a Mabel quando ha chiesto aiuto a Dylan Dog.
"Lo capisco perfettamente. A volte questa condizione di familiarità può essere rassicurante mentre altre volte ti getta nel panico. Forse dipende davvero da chi sei tu e dobbiamo tornare alla domanda iniziale”.
Allora iniziamo: chi sei?