CUNEO - A proposito di Sanrito

Un mese fa si dava inizio alla nona edizione del festival. Abbiamo fatto una chiacchierata con Dario Canal per parlare di palchi, di attitudine, di concorsi musicali e della canzone che meritava la vittoria

Francesca Barbero 08/03/2024 08:26

Sanrito - Piccolo Festival di Grandi Canzoni, l'alternativa made in cuneo alla più nota kermesse sanremese, si è concluso un mese fa. Il festival, nato nove anni fa in un club di provincia (ricordate l'Isola Condorito?), con il passare del tempo e l'approdo all'Auditorium Foro Boario sembra aver cambiato definitivamente pelle -o perlomeno aver indossato un vestito differente- facendo propria quella di uno spettacolo più sfarzoso e istituzionale. A vincere la nona edizione del festival, conquistando una giuria in prevalenza maschile composta da esperti e addetti ai lavori, La Cantadoira con il brano “Voci”, Fonzie con “Sete” e Librae con “Come con me”, accompagnati nelle esibizioni -come tutti gli altri concorrenti- dalla Good Night Orchestra. Chi scrive, rovesciando la logica e rompendo gli schemi del bon ton, ha deciso di intervistare l'autore della canzone che più di tutte l'ha colpita. La canzone che nei due giorni di festival è riuscita a rapire la mia attenzione per il testo, la melodia e l'attitudine sul palco dell'autore; una canzone che con eleganza e delicatezza è riuscita a smuovere dentro di me emozioni più intense rispetto a tutti gli altri brani in gara. Che poi è per questo motivo che si ascoltano le canzoni, no? É in quel sentire che c'è nell'ascoltare la risposta al motivo della presenza di certi cd -colonne sonore di viaggi molto spesso improvvisati- nel cruscotto delle nostre auto, della scelta di mettere sul piatto di un giradischi proprio quel vinile se c'è una notte di neve, della playlist di canzoni da cantare sotto la doccia...Così, nel mese di febbraio di un anno bisestile, mi sono ritrovata a domandarmi per quale delle undici canzoni in gara macinerei km con la mia 500 rossa (come spesso mi capita di fare quando, frequentando quella che è la scena cuneese, cerco e scopro realtà, situazioni e locali in cui la musica live trova spazio o terreni più o meno fertili dentro questa provincia) per poterla riascoltare ancora dal vivo. La mia risposta, senza esitazione, è “Fregati” di Dario Canal, cantautore giunto sul palco di Sanrito da Grosseto, con cui ho fatto questa chiacchierata.
 
Se mi domandassero quale canzone meritava la vittoria risponderei senza esitare che è la tua (in effetti mi è stato domandato!)...É il motivo per cui ho deciso di intervistarti.
“Chissà per quale motivo... la penso esattamente come te!”.
 
Il testo è molto minimale nel giocare sul verbo "fregati". Nella prima parte della canzone lo leghi all'attualità e al contesto della società capitalista, quella dove si compra allegria spacciata per felicità; immagine che poi viene ribaltata nella seconda parte dove causa della fregatura è l'amore scaturito dall'incontro di due corpi e due anime. Destino e caso non sono semplici coprotagonisti. Mi ha colpito particolarmente la tua scrittura insieme alla capacità di non cadere –e nemmeno scivolare- nella banalità e nella retorica, elementi piuttosto in voga ultimamente. Come è nata questa canzone?
”Fregati" è una canzone che nasce circa sei/sette anni fa”. Era un periodo in cui dovevo ogni giorno tirar fuori qualcosa, un testo, una frase, una parola...Le prime due strofe sono venute fuori di getto. Avevo anche sistemato giusto la metrica e il senso del discorso c'era. Avevo anche trovato la melodia e l'armonia, che grosso modo è quella attuale, poi mi sono bloccato di colpo. Da lì ho dovuto aspettare, e provare, e riprovare per cercare un senso a quello che avevo detto; mi domandavo in continuazione 'ma cosa voglio dire?' senza avere nulla di sufficientemente credibile. Non avevo più niente da dire. Poi un giorno, dopo che il mondo aveva scelto di continuare a girare, mi sono convinto che dovevo fare la scelta più semplice: ho cercato di parlare alla 'pancia' della gente. E come la maggior parte dei discorsi che si fanno scrivere quelli che comandano il mondo oggi, sono riuscito a racchiudere qualche frase populista e demagogica finendo la canzone (circa nell'estate 2023). Probabilmente mi serviva qualche esempio pratico”.
 
Per quanto riguarda la musica, sei soddisfatto dell'arrangiamento fatto dall'orchestra? Voi concorrenti lo sentite per la prima volta durante le prove, giusto?
“Sono stato abbastanza soddisfatto. Quello dell'orchestrale è un lavoro tosto, hanno poco tempo per assimilare l'intenzione del compositore e farlo girare con l'interprete. Ci vogliono esperienza e mestiere, che non sono assolutamente mancate anche perché alcune settimane prima il direttore d'orchestra mi aveva avvisato che il brano era stato provato e che ci saremmo divertiti un sacco. Infatti arrivato alle prove generali, quattro ore prima della diretta, sento la batterista e il pianista (che saluto) che si danno il quattro. Parte la base. Tutto era dove doveva essere”.
 
Nella performance hai dimostrato di avere parecchia attitudine sul palco (e dei bellissimi completi!). Se l'attitudine non ce l'hai, se non hai il coraggio di tirarla fuori oppure se ci rinunci a scapito dell'omogeneità di certi modelli, nella continua ricerca di perfezione, si perde la verità dell'artista. Che ne pensi? Quanto è stata fondamentale nel tuo percorso l'esperienza dei palchi maturata con la band Etruschi from Lakota ? E con la Jug Band dalle Colline Metallifere?
“Può capitare ad un cantante di dover interpretare brani o canzoni che non gli appartengono, con l'attitudine, se vuoi, puoi renderli tuoi, o almeno puoi essere credibile. La difficoltà non sta nel cercare di essere tutt'uno con quello che stai dicendo, infatti non devi credere a quello che dici, ma devi essere sincero quando lo fai. Quando sei sul palco hai una forma libertà che ti chiede 'che vuoi fare?'. A te la scelta. Con gli Etruschi, e anche con la Jug, ma ogni volta che sono concentrato sul palco, ho avuto e ho questa possibilità. Sono stato cresciuto facendo delle scelte, consapevoli alcune, altre forse meno, ma scelte sono, e questo secondo me può fare la differenza tra chi ha 'attitudine' e chi no. Ci vuole coraggio per fare il performer”.
 
Ma quello di Sanrito che tipo di palco è? Com'era l'energia? E rispetto al palco dell'Isola Condorito, dove il festival è nato? Nella precedente intervista mi avevi detto di aver trascorso giorni molto rock' n 'roll quando ti sei esibito con gli Etruschi from Lakota in veste di ospiti stranieri.
“Il palco di San Rito è una parte del festival, è quella più luminosa e in vista. Sopra c'è un'energia che non saprei descriverti, non ho molto riflettuto su questo, diciamo che quando ci sono salito ho cercato di lasciarci la mia. Al Condorito si percepiva un calore diverso, c'era del rock'n'roll nell'aria, una tempesta di umori ed emozioni diverse, era completamente diverso dal palco dell'Auditorium, c'era un universo selvaggio, e noi tutti eravamo una specie di tribù”.
 
Oggi quale importanza rivestono i concorsi nel panorama musicale? E un concorso come Sanrito? Mi interessa molto il punto di vista di chi, arrivando da fuori provincia (in questo caso da fuori regione), sceglie di partecipare al festival.
“Puoi scegliere di gareggiare perché vuoi vincere (era il mio motivo principale), oppure per partecipare (cosa più falsa che mai perché mi girano ancora le palle per aver perso), oppure per fare un'esperienza di vita (quello che in fondo è importante), e condividere con più persone possibili il tuo modo di vedere e vivere il mondo (forse la ragione del perché si fanno i concorsi, quindi questa è la più importante), e farsi intervistare per questo (e ti ringrazio ancora per questa possibilità)”.
 
E dietro le quinte? Che atmosfera si respira? Raccontami qualcosa che non potresti dirmi e che io non potrò scrivere.
“TUTTI PUZZAVANO, SI FUMAVANO LE CANNE E BESTEMMIAVANO, QUALCUNO CE L'AVEVA ANCHE CON I DEMOCRISTIANI = IL PARADISO”.
 
 
 
 
 

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