CUNEO - Chi si è già scordato di Duccio Galimberti?

Sono passati 78 anni dall'omicidio dell'eroe della Resistenza, ma sui fatti avvenuti nel dicembre del '44 resta un alone di mistero

Federico Mellano 03/12/2022 07:58

Sono passati 78 anni dalla morte violenta di Tancredi “Duccio” Galimberti, ma ancora oggi dietro il suo omicidio resta un certo alone di mistero. Passeggiando per le vie di Cuneo, per le campagne e per le valli della nostra splendida terra, fa effetto pensare che non tantissimi anni fa furono teatro di una atroce guerra civile, che divorò, nella spirale della violenza, uomini e donne. “Lauro Farioli è morto per riparare al torto di chi s'è già scordato di Duccio Galimberti” cantava Fausto Amodei nella famosa ballata “Per i morti di Reggio Emilia”, composta dopo gli scontri avvenuti nel 1960 in tutta Italia, per protestare contro il congresso del Msi indetto a Genova. A 62 anni di distanza, l'affermazione del fondatore de “i Cantacronache” resta più attuale che mai: per tentare di porre rimedio, rinfreschiamo la memoria dei nostri lettori.
 
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Corte Straordinaria d’Assise (CSA) di Torino, il 22 ottobre 1947, sottopose a processo i fascisti ritenuti responsabili della morte di Galimberti. In tale circostanza, furono ricostruite le ultime ore dell’avvocato cuneese. Secondo il verbale della Corte d’Assise, l'uccisione di Galimberti avvenne ad opera dell'Ufficio Politico Investigativo di Cuneo nei pressi della strada Cuneo-Torino, pochi chilometri prima di Centallo, nelle prime ore del mattino del 4 dicembre 1944. Catturato a Torino, in una pasticceria di via Villafranca, la mattina del 28 novembre, fu sottoposto ad estenuanti interrogatori negli uffici della Questura torinese, senza essere identificato. Sempre secondo le fonti, un gruppo di fascisti provenienti da Cuneo, guidato dal capitano brigatista Franco Pansecchi, riconobbe e prelevò il prigioniero. Dell'operazione erano a conoscenza sia Paolo Zerbino, massima autorità di Salò in Piemonte, che i comandi germanici. Questi ultimi desideravano utilizzare Galimberti per scambiarlo con militari tedeschi prigionieri dei partigiani, ma i fascisti volevano ad ogni costo la morte dell’avvocato. Fu così che Galimberti fu condotto a Cuneo presso il Comando dell’Ufficio Politico Investigativo, ove ora si trova la sede di Confartigianato. Infine, sempre secondo il verbale, fu trasportato nei pressi di Centallo, dove venne freddato dal brigatista Machetti.
 
Questa versione dei fatti fu a lungo ritenuta ufficiale, fino a quando gli esami del RIS di Parma del 29 agosto 2009, effettuati su incarico del Comune di Cuneo, svelarono una diversa realtà. Lo storico cuneese Sergio Costagli, che sì è occupato del caso nel suo libro “Cuneo 1944-1945. Assassini, violenze, torture - Il delitto Galimberti. La primavera delle vendette”, ha descritto in maniera dettagliata la vicenda. Galimberti fu trasportato morto sulla strada tra Cuneo e Centallo. Il povero avvocato morì sotto le torture che gli inflissero i fascisti, comandati da Lorenzo Steider (detto “Franchi”), direttore dell’UPI. Duccio fu probabilmente sottoposto a violente percosse, tormentato con uno stiletto che gli fu più volte conficcato nelle carni e imprigionato con i ferri di sicurezza legati “in modo così stretto da stritolarne le ossa”. Secondo tali studi, quella che avvenne il mattino del 4 dicembre fu una finta fucilazione su un uomo già morto.
 
Dal punto di vista storico, la ricostruzione del RIS deve essere collegata con la versione della stampa di Salò. “Il Piemonte Repubblicano”, bisettimanale della RSI diretto dal fanatico fascista Spartaco Annovazzi, oltre ad esultare per la scomparsa di un personaggio definito “agitatore, imboscato, ambizioso profittatore”, diffuse una versione della morte poco credibile, sostenendo che Galimberti fosse morto durante uno scontro a fuoco tra i fascisti ed elementi partigiani. Il fatto che fosse stata inscenata una finta esecuzione conferma che la morte di Galimberti non avvenne soltanto in assenza di un regolare processo, ma anche contro la volontà di alcuni degli stessi fascisti e dei tedeschi, che necessitavano del noto prigioniero al fine di scambiarlo con ufficiali germanici catturati dai partigiani. D’ogni modo, la morte di Galimberti diede un giro di vite alla guerra civile. I partigiani risposero al delitto con una durissima controrappresaglia. Il Comando militare regionale, il 12 dicembre 1944, diramò l’ordine di passare per le armi cinquanta militi delle Brigate nere per vendicare la morte del comandante.

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