C’è un edificio storico nel cuore di Cuneo che si appresta a vivere una nuova vita. Si tratta della ex chiesa di Santa Chiara in via Savigliano, all’angolo con via Cacciatori delle Alpi. Qui da alcuni mesi lavora un team di restaurazione tutto al femminile, per conto della Lithos di Venezia, impegnato a restituire alla sua bellezza originaria il ciclo di affreschi sulla cupola e le decorazioni.
L’attuale chiesa barocca trae origine da un monastero fondato nel 1228. Dopo l’abbattimento della costruzione più antica nel 1718 fu riedificata e poi restaurata nel 1828, prima di venire ceduta dalle clarisse al Comune di Cuneo nel 1855, in forza della legge sull’incameramento dei beni ecclesiastici. Al suo interno si trovano opere di alcuni dei pittori più importanti della scena piemontese settecentesca, come il cuneese Cuniberti e il pittore itinerante comasco Pietro Antonio Pozzo, oltre a stucchi riconducibili alla bottega dei Beltramelli. Utilizzata come sala comunale fino alla chiusura degli ultimi anni, in conseguenza del distacco di alcuni elementi pittorici, dal 2022 è finalmente oggetto di un intervento finanziato con 570mila euro, di cui 456 mila provenienti dal Fondo per la Cultura e 114 mila da risorse interne del Comune.
La consegna dei lavori è prevista entro fine anno. A restauri ultimati, Santa Chiara verrà affidata in gestione per venticinque anni alla cooperativa sociale Il Melarancio, vincitrice di un bando apposito di Confcooperative. L’obiettivo è farne un “hub teatrale” pensato soprattutto per i giovani, attraverso occasioni di incontro, performances, laboratori ed eventi. “È un incubatore di possibilità molto importante, al quale guardiamo con grande attenzione” ha ricordato la sindaca Patrizia Manassero ai consiglieri, riunitisi ieri pomeriggio (mercoledì 27) per una visita guidata nel complesso: “Questo - ha aggiunto - è il primo partenariato pubblico privato che guarda, oltre al recupero di un luogo, alle politiche in ambito culturale”.
Millecinquecento metri quadrati di cantiere, di cui 300 mq affrescati e i restanti coperti di stucchi e decorazioni: a vederlo ora il “gioiellino” barocco appare irriconoscibile, ingombro com’è di impalcature fino alla volta. Ma tra i ponteggi già si intravedono gli affreschi con i colori brillanti delle origini. C’è stata anche una sorpresa, cioè la scoperta di altre pitture che il restauro dei salesiani nel 1965 aveva occultato: con una tecnica di descialbo si sarebbe potuto far emergere ciò che è stato nascosto, spiega l’architetto Claudio Ellena, responsabile del progetto. Il problema era il costo: avrebbe significato spendere circa 250 euro al metro quadro, ovvero quasi 400mila euro in più di quanto preventivato. Troppo, per adesso: “Si è optato per una scelta conservativa, riproponendo i colori dell’originale: lo strato sottostante è preservato e il Comune potrà un domani decidere di ‘scoprirlo’”. Chissà che nel frattempo non si riesca a recuperare anche l’antistante palazzo Chiodo, altra proprietà comunale da tempo in stato di grave degrado.