CUNEO - Dalla Crimea all’Aspromonte. L’adolescenza cuneese di De Amicis sullo sfondo del Risorgimento

Negli anni della formazione per il futuro letterato si compie il destino dell’Italia unita, in una città attraversata da bersaglieri, garibaldini e patrioti polacchi

Andrea Cascioli 06/01/2022 14:58

Il percorso di crescita del giovane De Amicis a Cuneo si staglia - come abbiamo raccontato in un precedente articolo - in un arco di tempo compreso fra il 1848 e il 1862. Anni fatidici non solo per la sua formazione ma per l’Italia intera, nel tornante che va dalla prima guerra d’indipendenza all’unificazione. Il primo ricordo deamicisiano legato alla grande storia riguarda la partenza dei bersaglieri per la spedizione in Crimea, nel 1855. Pochi anni dopo la città è pervasa da un fermento patriottico ancora più elettrizzante quando ci si prepara alla guerra contro l’Austria e Cuneo diviene meta di una sorta di pellegrinaggio garibaldino in quanto sede dei Cacciatori delle Alpi: “C’erano fra quel migliaio e più di nuovi venuti dei campioni della guerra del ’48 e della difesa di Roma; c’erano dei futuri pittori celebri”, ma la figura che più di tutte attira l’ammirazione locale è quella di Enrico Cosenz, valoroso difensore di Forte Marghera nello sfortunato conflitto del 1848/49. Di quei giorni l’autore ricorda anche l’attenuarsi delle rigide divisioni sociali e “lo strano effetto che faceva nel popolino il sentir dire dell’uno e dell’altro di quei soldati semplici: - Questo è un avvocato. - Quello è un medico. - Quello là è un professore. - Quello lì è un signorone. Ciò che valeva più d’ogni discorso o articolo di giornale a dare alla gente incolta un’idea della grandezza degli avvenimenti che si preparavano, e faceva rivolgere dalle signorine a quei rozzi cappotti certi sguardi di curiosità romantica, dei quali prima d’allora non avevano onorato mai la “bassa forza””.
 
Beninteso, come in ogni epoca la guerra c’è chi la fa e chi la predica. A questo proposito si menziona un battibecco, sfociato quasi in rissa, tra una folla di “signori in cilindro e in pastrano” che sfila cantando l’inno di Mameli (in testa i professori del liceo) e alcuni bersaglieri che li avevano canzonati: “Ciò che mi fece più meraviglia in quel contrasto doloroso fu la bella disinvoltura con cui alcuni dimostranti brizzolati e panciuti assicuravano, picchiandosi la mano sul petto, che sarebbero andati alla guerra essi pure, mentre si capiva dai loro faccioni pacifici che non si sognavano neppure una mattata compagna”. La città di Cuneo ad ogni modo si dimostra ospitalissima con i “contingenti”, a mezzo di sottoscrizioni e aiuti ai più bisognosi. Lo studente tredicenne è tra coloro che promuovono geniali simposi tra i volontari e i giovani locali al Santuario degli Angeli e alla Fontana Santa di Madonna della Riva, le migliori località dei dintorni. Il 7 aprile 1859 è in città per una fugace visita il Generale in persona, Giuseppe Garibaldi. De Amicis ne ha notizia solo a cose avvenute, con suo grande scorno: apprenderà in seguito che l’eroe dei due mondi ha ispezionato i locali dell’ex monastero di Santa Chiara dove si radunano i volontari e pranzato con Cosenz al prestigioso albergo Barra di Ferro, prima di ripartire in serata. Nel pomeriggio, qualcuno lo ha avvistato in abiti civili in un negozio di via Roma 27: seduto su un sacco di riso, il condottiero aveva voluto rendere visita alla Pasqualina, madre del Paolo Ramorino caduto da valoroso a villa Corsini nella difesa della Repubblica Romana. Suo fratello Giuseppe morirà nella battaglia del Volturno al seguito dei Mille.
 
 
Un “garibaldino fallito”: la parabola delle camicie rosse negli occhi di un adolescente
 
Garibaldi è l’eroe che accende sogni di gloria sfrenati negli adolescenti cuneesi, e De Amicis è uno dei suoi più ardenti sostenitori tra i giovanissimi. Tanto da progettare l’anno seguente, insieme a due compagni, di partire per la Sicilia all’insaputa dei genitori. L’epopea da “garibaldino fallito” del ragazzo si risolve in commedia perché il responsabile del comitato d’arruolamento cittadino delle camicie rosse, dopo aver posticipato più volte la data della loro partenza, avverte le famiglie. La sera della prevista fuga clandestina, quando già ha steso una corda per calarsi dal balcone, il figlio del banchiere del sale trova la madre a distoglierlo amorevolmente dai suoi arditi propositi: “Pochi giorni dopo l’esame, passando per un vicolo vicino a casa mia, vidi molte donne affollate intorno a una merciaia, che stava seduta sullo sporto della sua bottega, coi gomiti sulle ginocchia e il capo fra le mani, piangendo dirottamente. Domandai perché. Mi rispose una donna: - Gli hanno ammazzato il figlio a Milass. - Il mio primo senso fu di pietà, e il secondo (m’è grato ricordarlo) di vergogna”.
 
Ma se l’ambizione battagliera è spenta, la fede rimane inalterata anche quando, nel 1862, il Generale lancia la campagna per la conquista di Roma al grido “o Roma o morte”: “Quando venne la notizia d’Aspromonte, ci accozzammo una quindicina in una trattoria, presieduti da un reduce garibaldino del sessanta, uno sbarbatello indemoniato, che per l’occasione s’era messo in capo il suo vecchio berretto rosso sdrucito”. Scovata una bandiera “stinta e sbrindellata”, gli scapestrati avevano improvvisato un corteo “fra lo stupore, i sorrisi e gli sguardi di riprovazione dei cittadini pacifici, a cui facevamo l’effetto d’un branco di evasi dal manicomio”. Salì poi al colmo l’indignazione quando di lì a poco una colonna di garibaldini prigionieri venne fatta passare per le vie della città mentre veniva condotta al forte di Vinadio: qui i laceri soldati in camicia rossa, cinque o seicento secondo la Sentinella delle Alpi, trascorreranno 24 giorni in prigionia.
 
 
Una storia dimenticata: quando Cuneo ospitò la scuola militare polacca in esilio
 
C’è infine un’altra vicenda relativa a quello stesso 1862 che merita di essere menzionata. Riguarda l’arrivo di un centinaio di polacchi allievi della Scuola Militare di Varsavia, insorti alla fine del 1860 e vittime di una dura repressione da parte dei russi e del governatore Wielopolski. I cadetti giungono in Italia chiedendo al governo di poter continuare i loro studi accademici. Il 26 aprile vengono accolti nell’istituendo Collegio militare polacco la cui sede prescelta dal ministero prescelto è la città di Cuneo, nei locali dell’ex convento di San Francesco. I giornali riportano di un’“accoglienza festosissima” alla quale partecipano entusiasti i bersaglieri del colonnello Pallavicini. L’eco di questi eventi giunge fino a Parigi, da dove il preside di un’analoga scuola militare, generale Wysoky, scriverà alla Sentinella delle Alpi per ringraziare i cuneesi. Così parla di loro De Amicis: “Eran tutti di famiglia signorile, bei biondi robusti, di viso ardito e grave, su cui si leggeva il pensiero assiduo della patria lontana e della morte prossima: pochi mesi dopo, infatti, caddero la più parte sotto il piombo russo, in un combattimento memorabile”. Alle cortesie dei locali gli ospiti risponderanno “con viva gratitudine” in occasione della morte del sindaco Francesco Lovera, portandone a spalle il feretro fino al camposanto.

Notizie interessanti:

Vedi altro