ENTRACQUE - Entracque, storia di un paese

Da terra dei Savoia a set di film: un viaggio negli ultimi due secoli della “perla” della valle Gesso

Federico Mellano 26/06/2023 10:54

Secondo i dati dell’Istat, Entracque il primo gennaio 2023 contava 762 abitanti. Un numero esiguo, soprattutto se si conta la storia passata del capoluogo della Valle Gesso. Nella seconda metà del 1600 gli abitanti erano 4 mila e, nel 1831, la popolazione “toccava le 3235 unità”. Cifra “che rimarrà sostanzialmente invariata per tutto il decennio, e che stava raggiungendo l'apice della sua curva demografica, destinata tuttavia a invertirsi, da lì a poco, e precipitare in modo inarrestabile per due secoli”. La storica cuneese Alessandra Demichelis, nel suo libro “Ai confini del regno. Vivere a Entracque tra Ottocento e Novecento”, racconta così la storia di questa perla delle Alpi marittime, affrontandone i cambiamenti, le trasformazioni. 
 
Oggi Entracque è una ambita meta turistica: durante l’estate, arrivando dalla pianura cuneese, non si può che notare il verde dei boschi e la purezza dell’acqua delle fontane, che, mescolandosi ai colori vivaci degli edifici, rende il paese a metà strada tra un borgo alpino e una località di mare. Ed è proprio il fresco di quelle montagne superbe e maestose, che circondano il paese su tre lati, ad accogliere gli accaldati visitatori. Il nome Entracque, dal latino intra aquas, tra le acque, suggerisce la natura profonda di un luogo, che, grazie all’oro blu ha conosciuto il suo splendore. 
 
Ma nel passato, la vita a Entracque non doveva essere per niente facile. Gli anni delle guerre napoleoniche videro passaggi di soldati, brigantaggio e carestie. “Il quindicennio napoleonico fu caratterizzato da una serie di pessime annate agricole - scrive Demichelis - provocate da piogge primaverili ed estive protratte, grandinate e inondazioni”. Nel settembre del 1810 una terribile alluvione riuscì “a rovinare strade e a distruggere l’intero sistema di collegamenti non solo con i comuni vicini, ma con le frazioni e tra le stesse borgate”. Anche in quegli anni, di povertà e rapporto conflittuale con la natura, vi era il problema dell’eccessivo sfruttamento del territorio. In una comunità che dipendeva dal suo patrimonio forestale, un nodo cruciale era rappresentato dall’“impoverimento delle selve”, il disboscamento selvaggio. “Il periodo napoleonico - prosegue Demichelis - fu, da questo punto di vista, fra i più infelici della storia ottocentesca. Le esigenze belliche, unite a una normativa insufficiente e all'assenza di strumenti conoscitivi appropriati, avevano fatto sì che boschi e selve subissero pesanti mutilazioni”.
 
Per evitare il totale deterioramento delle risorse, gli amministratori cercarono di adottare delle misure apposite di controllo sul territorio. Ma fu nel 1822, con il regolamento forestale del re Carlo Felice, che furono espresse “una normativa e una disciplina ferree, fondate su un controllo capillare, divieti di ogni genere, di pascolo, di estrazione, di costruzioni di fornaci carbonaie, e l'obbligo di richiedere autorizzazioni governative per qualsiasi iniziativa”.
 
Il difficile rapporto con il territorio non era l’unico problema. Un’altra sfida era rappresentata dalle malattie. Nel 1817, in particolare, una terribile epidemia, probabilmente di tifo petecchiale, colpì il centro della valle Gesso. “La chiesa adattata a lazzaretto, ammalati rinchiusi con o senza il loro consenso, cadaveri cosparsi di calce”, scrive Demichelis ricostruendo i drammatici momenti del paese. 
 
Con il passare del tempo, anche grazie all’incessante presenza dei medici di paese e alla costruzione dell’Ospedale di Carità negli anni ’30 dell’Ottocento, la situazione migliorò. E con essa arrivarono i tempi delle costituzioni, del vento risorgimentale. Con la promulgazione dello Statuto Albertino, si chiuse definitivamente l’era dell’Ancien Régime, portando, una volta e per sempre, l’era dei diritti, eclissata soltanto dal periodo fascista. In quei tempi “le visite dei reali non si interruppero”, sancendo il primato che i Savoia conferirono alla valle Gesso come propria terra di villeggiatura. Il 29 agosto 1855, il re Vittorio Emanuele II e Ferdinando Duca di Genova, visitarono Entracque e ne rimasero ammaliati. Nel 1857 il sovrano ottenne dai comuni di Valdieri e di Entracque la concessione esclusiva dei diritti di caccia, e, successivamente, anche di pesca su gran parte dell’alta Valle Gesso. Da lì iniziò un periodo infausto per la fauna locale, colpita e decimata dalle battute di caccia dei sovrani e dei membri della corte. Nell’estate del 1882, “90 camosci sterminati in quattro giorni, 25 nel corso di una sola battuta, 15 per mano del re”, riporta Demichelis. Ma la presenza dei sovrani portò un’entrata fissa di 3 mila lire annue per il comune di Entracque, non sicuramente sufficiente per trattenere molti dall’andarsene altrove per cercare prospettive migliori.
 
“Ce ne sono addirittura che sono partiti per andare in California, in Argentina. Ma la maggior parte sono approdati in Francia”, raccontava un passante in un freddo pomeriggio dello scorso inverno. Alcuni tornarono indietro perché mai riuscirono a integrarsi e trovare un luogo che somigliasse a casa. Discriminazioni, povertà e ostilità era ciò che tanti incontrarono nelle nuove patrie. Da queste esperienze, che accumunarono Entracque con molte località d’Italia, emersero personaggi letterari che incarnarono lo spirito delle generazioni della prima metà del Novecento. Uno fra tutto Anguilla, protagonista del romanzo pavesiano “La Luna e i Falò”, il trovatello che torna nel suo paese nelle Langhe dopo aver girato il mondo, alla ricerca delle radici e di un passato ormai perduto. Per molti Entracquesi tornare significava forse questo: respirare di nuovo un senso di appartenenza. Il Novecento anticipò, così, alcuni aspetti tipici della contemporaneità, primo fra tutti il crollo dei confini e l’aumento delle connessioni nel mondo. Caratteri che avrebbero determinato anche i due conflitti mondiali.
 
“Furono 68 i soldati di Entracque che morirono nella Grande Guerra, e per alcune persone che tornarono la vita non fu più la stessa”, scrive Demichelis. Le fratture provocate dal primo conflitto avrebbero alimentato un’altra catastrofe. Molti furono spediti in mondi lontani, tra le sabbie del deserto o tra le nevi dell’Unione Sovietica. E fu proprio la campagna di Russia la più devastante, la più traumatica: chi fu catturato dai sovietici morì nei terribili campi di prigionia, dove gli uomini, ridotti a larve umane, perivano per le malattie, il freddo o le torture. Tra gli sventurati, Alessandra Demichelis ricorda Giovanni Mellano, morto nel lager 188 di Tambov, Bernardo Rocchia, deceduto nell’ospedale 2851 di Ustà, Domenico Ghibaudo a Taliza e Simone Mellano a Ucistoje, tutti nel marzo del 1943.  Con la fine dell’ultima guerra, il passaggio di tanti soldati, partigiani e degli ideali della Resistenza, il mondo cambiò anche in valle. Nel 1969 iniziò la costruzione dell’impianto idroelettrico, dedicato a Luigi Einaudi. Entrato in funzione nel 1982, è ancora oggi il maggiore d’Italia. 
 
Oggi passando per Entracque non si può far altro che respirare parte di questa storia. Giungendo sulla balconata della chiesa parrocchiale, si può ammirare dall’alto un paese che è profondamente cambiato e il cui fascino ha fatto sì che diventasse, nel 2007, il set del film “Inkheart - La leggenda di cuore d’inchiostro”. Un film che svela la profonda bellezza dei libri, che hanno il potere di confondere la realtà con l’immaginazione e di tenere viva qualsiasi speranza.

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