CUNEO - “Ho agito a fin di bene e per un’idea”: il senso del 25 aprile nelle lettere dei partigiani condannati a morte

Per la Festa della Liberazione pubblichiamo le ultime righe che alcuni combattenti della Granda hanno lasciato ai loro cari. Parole struggenti che aiutano a comprendere l’importanza di ricordare

Giacomo Giraudo Cordero 25/04/2025 07:01

Ogni anno, in occasione del 25 aprile, nel dibattito pubblico serpeggia in maniera più o meno sistematica la riflessione sull’importanza del ricordo di giornate come quella della Festa della Liberazione. È proprio vero che, come scriveva Primo Levi, “la memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”, che si sporca e si altera facilmente, persino quando riguarda pagine eroiche della nostra Storia, la storia di tutti gli italiani. E così, anno dopo anno, è sempre più forte il sospetto che si stia perdendo il senso profondo del 25 aprile soprattutto a livello istituzionale, con dichiarazioni audaci e storicamente scorrette e poca disponibilità a celebrare a dovere una giornata che rappresenta l’essenza della nostra democrazia. 
 
In occasione dell’80° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo, abbiamo quindi deciso di andare a cercare il senso profondo del 25 aprile “interpellando” direttamente coloro che l’hanno realizzato, ovvero i partigiani che hanno combattuto nella Granda, provincia che, non bisogna mai dimenticarlo, è stata decorata con la Medaglia d’oro al merito civile proprio per il suo contributo alla Resistenza. Per farlo abbiamo raccolto le lettere dei combattenti cuneesi contenute nel volume "Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana", uscito per Einaudi in prima edizione nel 1952 e ancora oggi uno dei testi di riferimento per ragionare sul 25 aprile. 
 
Si tratta degli ultimi pensieri di ragazzi e ragazze per lo più giovanissimi e comuni, che si ritrovano di fronte alla morte e decidono di affrontarla con una dignità che sorprende e commuove. Leitmotiv delle missive contenute in questo volume, dei combattenti cuneesi ma in generale di quasi tutti i partigiani d’Italia, è la volontà di chiedere perdono ai propri genitori per il dolore loro inflitto e per essere stati poco presenti nella loro vita. Uno scrupolo che carica di un’umanità quasi mai adeguatamente considerata i combattenti per la libertà che erano, prima di tutto, dei giovani. 
 
Tra le lettere dei partigiani cuneesi non mancano alcuni nomi di spicco, giustamente celebrati ancora oggi. In primis Maria Luisa Alessi, staffetta partigiana di Falicetto fucilata nel piazzale della stazione di Cuneo il 26 novembre 1944, che nel salutare i suoi cari scrive una frase da vera combattente, fino all’ultimo: “Prego solo non fate tante chiacchiere sul mio conto e di allontanare da voi certe donne alle quali io devo la carcerazione”. Altro personaggio di spicco della Resistenza cuneese (e non solo) che ha lasciato una lettera finale è l’eroe nazionale, Medaglia d’Oro al Valor Militare Duccio Galimberti. L’allora 38enne avvocato cuneese, poche ore prima di essere fucilato a tradimento dai fascisti nei pressi di Centallo, lasciò ai suoi cari un saluto lapidario e inequivocabile, perfettamente conforme al modo di esprimersi di una figura che, con il suo discorso del 26 luglio 1943, in qualche modo ha dato inizio alla stagione della Resistenza nel nostro Paese: “Ho agito a fin di bene e per un’idea. Per questo sono sereno e dovrete esserlo anche voi”. Questa semplice frase racchiude in sé il significato profondo del partigianato.
 
Un messaggio quasi identico a quello lasciato da Galimberti è anche quello di Ettore Garelli (nomi di battaglia Gomma, Bollo), 53enne torinese fucilato assieme a Maria Luisa Alessi dopo aver coordinato le attività partigiane nel Fossanese (“Ho coscienza di non avere male operato”). Più intellettuale e ideologica è invece la riflessione che Pedro Ferreira, 23enne di Genova fucilato a Torino il 23 gennaio 1945, lascia ai suoi parenti. In questo caso è interessante notare come il giovane, combattente nelle brigate Giustizia e Libertà di Galimberti in Valle Grana, sottolinei un filo rosso che unisce i partigiani ai patrioti del Risorgimento: “Vostro figlio e fratello è morto come i fratelli Bandiera, come Ciro Menotti, Oberdan e Battisti colla fronte verso il sole ove attinse sempre forza e calore: è morto per la Patria alla quale ha dedicato tutta la sua vita: è morto per l’onore perché non ha mai tradito il suo giuramento, è morto per la libertà e la giustizia che trionferanno pure un giorno quando sarà passata questa bufera”.
 
Sono invece molto più “prosaiche”, ma non per questo meno intense, le ultime righe lasciate dagli altri combattenti cuneesi contenute nel volume: Gilberto Manegrassi, 20enne di Costigliole Saluzzo, Giuseppe Manfredi, 21enne di Fossano, Attilio Martinetto, 21enne astigiano, fucilato al Cimitero Vecchio di Cuneo, Luigi Pieropan, 24enne torinese fucilato a San Michele Mondovì e Dario Scaglione (Tarzan), 19enne di Valdivilla, celebrato anche da Fenoglio nella sua opera. Chi chiede perdono ai genitori, chi perdona i propri carnefici, chi saluta la fidanzata e le augura di trovare un nuovo amore, chi dà consigli ai fratelli minori: sono lettere di un’umanità sconcertante, che fanno rabbrividire a leggerle oggi.
 
Uno spazio a sé stante lo merita la missiva che Paola Garelli (Mirka), 28enne nata a Mondovì ma operante e fucilata a Savona, indirizza alla figlioletta: “Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino per il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa solo: studia, io ti proteggerò dal cielo”. 
 
Leggendo queste e tutte le altre lettere dei condannati a morte della Resistenza non si può che comprendere quanto questa stagione sia stata unica e irripetibile nella nostra Storia. Una stagione dove chi combatteva lo faceva per ideali più alti del “qui e ora”, dove valeva la pena soffrire oggi per sorridere tutti domani, per inventare la democrazia in un Paese che non l’aveva mai conosciuta prima e che da vent’anni a quella parte non conosceva altro che ingiustizia e repressione. “La Resistenza ci ha dato la nostra religione civile”, disse un altro grande combattente cuneese come Giorgio Bocca. Ricordare e celebrare il 25 aprile e tutte le altre giornate dedicate a questa stagione vuol dire farsi discepoli di questa “religione di tutti”.  
 

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