Sono passati oltre cinquant’anni dalla realizzazione del film “Sacco e Vanzetti”, ma molto è rimasto impresso nella memoria di chi vi prese parte. Shoshanah Dubiner aveva ventisette anni, si era trasferita in Italia dagli Stati Uniti per lavorare come costumista nel cinema e nel teatro. La sua conoscenza della lingua l’aiutò a ottenere un incarico dalla produzione italo-francese, al fianco di Enrico Sabbatini.
Le riprese - forse per caso, forse no - iniziarono il 23 agosto 1970, esattamente 43 anni dopo l’esecuzione degli anarchici italiani,
accusati di due omicidi che non avevano commesso e giustiziati sulla sedia elettrica nel 1927. Il regista
Giuliano Montaldo e la sua troupe filmarono solo poche scene a Boston, dove la tragedia dei due immigrati si era consumata. Gli altri esterni furono girati tra Dublino e la Jugoslavia. Dubiner ricorda il freddo delle scene di massa allestite di notte, ma soprattutto il momento culminante del film, il monologo di
Gian Maria Volonté nei panni di Bartolomeo Vanzetti:
“Tutta la troupe scoppiò in un pianto silenzioso. Ascoltarlo in quella stessa stanza era una grande emozione, questo dimostra il potere dell’arte”.
L’artista americana, ormai ottantenne, era sabato a Cuneo per la donazione dei disegni di scena da lei realizzati all’Istituto Storico della Resistenza. Qui verranno conservati insieme ai quattordici faldoni di documenti e lettere che Vincenzina Vanzetti, la sorella più giovane del villafallettese “Bart”, aveva consegnato all’archivio prima di morire. Tra gli schizzi realizzati dall’aiuto costumista del film ci sono i suoi bozzetti preliminari: “Sono basati su fotografie dell’epoca” spiega. In particolare quelle che il danese-americano Jacob Riis, uno dei padri della fotografia documentaristica, aveva scattato tra fine Ottocento e inizio Novecento a centinaia di poveri e immigrati di varie nazionalità giunti a New York. “Anche per questo - dice Dubiner - ho deciso di realizzare i disegni con un tratto un po’ ‘sporco’”.
Altre immagini ritraggono invece il “making of” del film: “Sul set non avevo molto da fare, perché a quel punto il mio lavoro era già finito. Mi sono dedicata allora a realizzare bozzetti a penna stilografica su un piccolo quaderno, disegnando le persone della troupe e alcune delle scene principali”. Ora tutte queste memorie verranno preservate: due disegni sono stati donati venerdì al Comune di Villafalletto, gli altri a Cuneo. “Questi sono gli originali - sottolinea l’artista - e sono molto contenta che abbiano trovato casa qui, dove saranno valorizzati”.
La documentazione su Vanzetti già presente, ricorda Gigi Garelli, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza, “è un patrimonio non celebrativo: quei quattordici faldoni non sono la documentazione su personaggi da celebrare sull’altare e tenere in una teca. Sono un monito a ciò che sta tornando a succedere in termini di ostracizzazione, di allontanamento degli ultimi, dei diversi, dei personaggi scomodi”. Insieme a lui, a ricevere la donazione erano presenti Giovanni Vanzetti, nipote di Bartolomeo, e lo storico Luigi Botta che da oltre cinquant’anni raccoglie testimonianze sulla vicenda: “Quella di Vanzetti è una famiglia del nostro vecchio Piemonte che in qualche modo ha cambiato la storia del mondo: il loro è il caso più eclatante di ingiustizia processuale finora documentato”.